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Blognotes 08
Blognotes 15

INCERTEZZA è il tema del numero più recente di Blognotes 15

Articolo presente in

Incertezza e identità sessuale

di Olga Nardelli, psicologa

Non mi era mai capitato prima di approfondire il tema dell’incertezza giovanile collegandolo alla tematica dell’identità sessuale, fino a quando mi è stato chiesto di scrivere queste righe. E devo dire che specularci sopra si è rivelato più interessante del previsto. Sebbene io abbia fatto fatica, inizialmente, a mettere insieme l’”incertezza giovanile” e l’”identità sessuale”, mi sono resa conto che le due questioni possono avere un filo rosso che le tiene insieme.

Spessissimo affronto il tema dell’identità sessuale non solo nelle sedute con i miei pazienti più giovani, bensì anche dialogando con gli alunni delle classi coinvolte in un progetto di prevenzione al bullismo omo-bi-transfobico e, sia in studio che in classe, la questione dell’incertezza emerge sempre, ma in termini imprevisti: più informazioni si hanno rispetto al processo di costruzione dell’identità, più la matassa dell’incertezza tende a dipanarsi.

Ma facciamo un passo indietro.

Prima di iniziare a scrivere ho provato a riflettere scambiando delle considerazioni e intavolando una discussione con un caro amico – che citerò più volte e con il quale mi è capitato spesso di condividere riflessioni su questioni di questo tipo – e, all’interno del nostro dialogare, mi sono soffermata su una sua affermazione: “Io mi sono distrutto nell’incertezza giovanile (parliamo della questione omosessualità negli anni ottanta e novanta) perché non ero nemmeno cosciente che esistesse un’identità sessuale”. Partendo dalle sue parole mi sono addentrata nella mia esperienza di psicologa nelle classi e ho ripescato le parole e le esperienze che molti adolescenti hanno condiviso con me e con i loro compagni.

 

Immaginiamo di essere un adolescente oggi.

Mi tormentano centinaia di domande che riguardano me e il mio affacciarmi al mondo: Cosa voglio fare da grande? La scuola che ho scelto mi piace davvero? A chi devo dare più retta, ai miei genitori oppure ai miei amici? Chi sono io, che cosa mi piace? E quel tiktoker che ha tutti quei follower piace davvero anche a me, oppure lo seguo per parlare di qualcosa con gli altri? Ma davvero se mi comporto in questo modo poi mi vedono così?

Faccio fatica a trovare una risposta a queste domande, innanzitutto perché la società mi chiede di essere sempre e costantemente “sul pezzissimo”, anche quando vorrei fermarmi continuano a chiedermi di non mollare; in più, alla confusione tipica della mia età, si aggiunge il bombardamento di proposte e di informazioni a cui vengo quotidianamente sottoposto, talmente tante da farmi andare in confusione.

Nel processo di costruzione della mia identità, tutte queste informazioni diventano, però, di fondamentale importanza: come posso costruirmi se non ho un riferimento a cui potermi ispirare? Come faccio a dare una definizione di me e di chi sono, se non ho nulla che possa descrivermi? Come faccio a sapere chi sono se non ho le parole che mi descrivono, e come faccio a raccontarmi se non ho la possibilità di confrontarmi con le esperienze degli altri? Come posso riconoscere me, senza potermi riconoscere nella storia di qualcun altro?

Foto di Zeno Rigato

L’incertezza, dunque, si dissipa nel momento in cui ho a disposizione informazioni corrette e adatte alla mia età; o quando ho davanti a me qualcuno che mi racconta la sua storia e io ci trovo gli stessi passaggi della mia; oppure quando mi viene data la possibilità di portare avanti la costruzione di me, senza che nessuno mi giudichi per ciò che sono. Al contrario, l’incertezza si incancrenisce e diventa subdolamente ingombrante quando sento il peso del giudizio che gli ALTRI mi attribuiscono, solo perché non rispecchio ciò che LORO hanno in mente; quando mi si dice che certe cose non mi riguardano, a prescindere da ciò che io sento dentro; oppure quando non trovo nessuno in cui potermi rispecchiare e nessuna storia in cui io possa riconoscermi.

 

Torno a fare la psicologa con una considerazione: quanto può essere difficile essere adolescenti oggi! In più, sempre partendo dalla mia professionalità, devo aggiungere che quando si parla di identità sessuale non si può prescindere dal fatto che non si tratta di una scelta, bensì di una presa di consapevolezza di come si è fatti nel complesso: di come è fatto e di come funziona il proprio corpo (identità biologica), di come e quanto ci si sente a proprio agio dentro quel corpo (identità di genere), di quali sono le richieste della società e di come ci si confronta con esse (ruolo di genere) e di chi sono le persone di cui ci si innamora (orientamento sessuale).

Negare agli adolescenti queste informazioni, o giudicarli perché non sono conformi a ciò che la società si aspetta da loro, significa farli annegare nell’incertezza e portarli a confondersi nella folla, senza la possibilità di esprimere ciò che sono al meglio. Al contrario, dare loro la possibilità di confrontarsi con le storie e con le parole degli altri, oltre che di avere dati adeguati e corretti, permette ai giovani di coniare nuove parole che possano narrare un nuovo modo di essere.

 

Si pone, adesso, una domanda: chi sono questi ALTRI? A quali ALTRI può fare riferimento un adolescente?

Il concetto di “altri” non è facilmente definibile, in realtà. L’altro può essere potenzialmente chiunque, una compagna di scuola o un membro della famiglia, l’amico o il maestro di canto, l’allenatore di tennis, la vicina di casa, il commesso del negozio. L’altro può essere una persona che racconta la sua storia – più o meno cruenta – e la condivide con una classe che ascolta in silenzio. Questo ALTRO consente all’adolescente che lo guarda e lo ascolta di immedesimarsi in quella storia, anche se non gli appartiene del tutto, di prendere una parte di quella narrazione e farla propria, di coglierne il messaggio di apertura e di slancio verso il futuro.

Ma l’altro può essere anche, molto genericamente, il mondo in cui un adolescente vive. D’altra parte, sapere che se vengo aggredito per strada al grido di “FR***O” nessuno mi difende, o che si fa confusione tra matrimonio egualitario e unione civile (che, ci tengo a sottolineare, non sono per niente la stessa cosa, anzi hanno delle differenze molto profonde, ideologiche e pratiche), o che alcuni deputati applaudono perché viene affossato un disegno di legge che avrebbe permesso di parlare del tema dell’identità sessuale nelle scuole: come si può ammettere a sé stessi di avere quella identità se ho la percezione di essere sbagliato e mi sento sbagliato?

Prendo in prestito ancora le parole del mio amico “La società faceva di tutto per confermare la tesi che fossi semplicemente sbagliato e colpevole: in cosa e di cosa non lo sapevo”. Ecco, il ruolo della società sta proprio qui, quando non si riesce ad incontrate l’ALTRO, ma lo si ingabbia in uno stereotipo o in una definizione che non aggrada particolarmente.

Foto di Zeno Rigato

Tutto questo può portare ad avere difficoltà nella costruzione della propria identità e, nello specifico, dell’identità sessuale? Certo che sì! Perché, in un momento in cui l’adolescente sta imparando a socializzare – ovvero sta entrando nel mondo – il rischio è che senta la necessità di nascondersi, di perdersi tra la massa, con tutte le problematiche che potrebbero poi presentarsi di conseguenza: rifiuto/mancata accettazione di sé, depressione, condotte autolesive, disturbi alimentari, fino a spingersi al suicidio.

Nel 2016, proprio qui in Friuli, hanno girato un film che racconta bene tutto quello che ruota intorno ad un adolescente che sta disegnando la propria identità sessuale e si trova ad avere a che fare con gli ALTRI. Lo consiglio. Si chiama “Un bacio”, di Ivan Cotroneo. Un consiglio per stomaci forti, però.

Quanto può essere difficile essere adolescenti oggi!

Torno di nuovo al dialogo con il mio amico, anche lui spesso a contatto con gli adolescenti e i giovani: “Oggi vedo tanta incertezza giovanile nascere da una incapacità di guardare al futuro, ma dal punto di vista dell’identità sessuale li trovo molto più liberi e disinvolti.”

E forse noi adulti dovremmo concentrarci di più a sostenere il futuro dei giovani, piuttosto che a dire loro come diventare ciò che vogliono essere. Forse noi adulti dobbiamo iniziare a pensare che il mondo non è nostro, bensì ce lo ha dato in prestito la prossima generazione. Forse noi adulti dovremmo imparare a lasciare spazio.

 

Un certo Albert Camus diceva “dare un nome sbagliato alle cose contribuisce all’infelicità del mondo”: quindi è importante utilizzare le parole, quelle giuste, per descrivere la vita e il mondo, in modo che diventino ricchezza e qualcun altro possa coltivarle e farle fiorire.