foto di Mattia Balsamini
Tutti i giorni veniamo interpellati dall’esistenza per interagire con il principio di realtà, una corsa sfrenata all’adattamento ad un mondo in continuo mutamento, che costantemente tradisce e confuta, attraverso gli spigoli del reale, tutte quelle aspettative inverosimili che l’individuo vi riversa.
Tale contraddizione nasce dal mancato dialogo che dovremmo instaurare con il reale, in quanto il soggettivo non deve soverchiare il fattuale.
L’illusione di una fuga dalla realtà pare risolutrice del male di vivere di molti, in verità ne è la causa. Sentiamo spesso ripetere che l’arte nasce da un’insufficienza del reale, personalmente ritengo invece che noi uomini pratichiamo l’arte per psicanalizzare ed esplorare la realtà.
L’abitudine al pensiero divergente è il tratto distintivo di ogni creativo, ovvero la capacità di produrre soluzioni e angolazioni alternative ad uno stesso fenomeno, una forma di prospettivismo applicato.
A tal proposito vorrei condurvi alla scoperta del pensiero divergente raccontandovi una stimolante esperienza che ho accolto intervistando e conversando con i frontmen del celebre gruppo reggae pordenonese Mellow Mood che negli anni con talento e impegno sono giunti a suonare sui palchi più prestigiosi del mondo.
La chiacchierata ha toccato i punti più vari: dal mercato discografico al politicamente corretto, dalla relazione tra politica e arte al ruolo dell’artista nel 21° secolo.
Il “contatto” per l’uomo è la prima forma di guadagno, quando gli ho chiesto cosa avessero trovato nel Reggae al punto da farlo diventare il loro linguaggio espressivo, mi hanno risposto sovvertendo i rapporti di causalità dicendomi che non sono loro che hanno scelto questo genere ma al contrario si sono scelti come due amanti accecati dalla passione. Queste parole ci suggeriscono il motivo primo del perché tutti dovremmo praticare l’arte in tutte le sue forme, infatti alla domanda concernente gli effetti che questa cultura musicale avesse provocato sul loro interagire con il mondo, la loro risposta ha messo in luce l’evidenza che l’arte non è un puro esercizio edonistico del diletto umano volto al disimpegno ma al contrario diviene anzitutto uno stato di fortificazione psicofisica nell’intendere la vita e le sue peculiarità: non si tratta solo di musica fine a sé ma di uno strumento per interpretare in modo olistico il reale, che ci sprona a usare il dubbio come formula contro l’annichilimento.
Un altro punto di riflessione che l’incontro mi ha donato è lo slancio vitale che gli esseri umani adottano nel momento dell’agire; molti per deresponsabilizzarsi e autoassolversi riversano la loro sfiducia in sé stessi sul mondo arrivando ad affermare che deve essere la realtà a fornire le condizioni di fiducia nel domani, spostando così il nucleo della questione dal soggetto al complemento, ma nei fatti quando si desidera un mutamento dell’avvenire dobbiamo essere noi ad agire affinchè ciò avvenga.
In questo i Mellow Mood sono l’esempio perfetto ovvero un gruppo di giovani ragazzi partiti dalla provincia che non avevano niente se non la fame di chi sa aspettare e che non hanno atteso che il mondo li mettesse nelle giuste possibilità di azione, ma al contrario si sono creati dal nulla quelle condizioni affinchè quel domani avesse un’alba che risplendesse alla luce della fatica con il peso di scelte scomode ma intenzionali.
Mi hanno trasmesso il valore della mobilità, pensate che in più di 15 anni di carriera hanno viaggiato in tutto il mondo e questo ha consentito di uscire da quella bolla in cui tutti risiediamo, fatta di abitudini e false certezze, hanno interagito con usi e costumi di etnie diametralmente opposte con tenori di vita diversi, ma, come loro stessi mi hanno raccontato, tra i tanti idiomi discriminanti ne esiste uno franco che ci unisce, ovvero la musica. Solo la stanzialità ottunde la mente nella stagnazione, il viaggio ti mette in discussione e ti sfida nel superamento del bias di conferma :conoscere culture ti insegna a coltivare la cultura. Inoltre un tema ricorrente che si è ripresentato nella chiacchierata è quello dell’eccesso di materialismo che pervade la nostra società: i ragazzi hanno espresso il malessere provato verso un consumismo inteso non più solo come un modo di interagire con il mercato, ma come degenerazione comportamentale dell’individuo che lo ha portato a considerare come merce tutti i componenti dell’esistenza, col fine ingannatore di compensare delle voragini emotive.
Da qui il loro auspicio e invito verso una riformulazione delle priorità che l’individuo dovrebbe ristabilire con se stesso e con il mondo per agire con intenzionalità e vivere secondo coscienza.
Molto interessante è il ragionamento che hanno posto riguardante il radicale cambio avvenuto nel rapporto tra spettatori e personaggi pubblici, quell’alone di contegno, rispetto e mistero capace di stimolare la curiosità alla scoperta di un certo talento è svanito perché l’apparente costante vicinanza ci ha spinto a considerarli nostri amici, quando invece in molti casi si tratta di pura idolatria unidirezionale. Il problema è che le piattaforme mediatiche, essendo progettate per iperboli,tendono a favorire in molti casi più la persona e il suo personaggio rispetto ai contenuti che porta. In questo modo si crea una frammentazione nella fanbase tra coloro che seguono un tale individuo per come appare e chi lo segue per scoprire la trama nascosta. In un’epoca in cui l’arte segue sempre di più le esigenze del mercato rispetto a quelle dell’artista divenendo più confermativa che abrasiva, i Mellow Mood incarnano l’ideale dell’artista ovvero non un profeta infallibile passivo ma un interprete fallibile dubitativo, perché l’artista non si occupa solo di una specifica disciplina ma al contrario va in contro alla vita.
Il successo è giunto per loro ma solo grazie al rispetto nutrito verso la causa.
Per concludere questo articolo vi invito anzitutto a visionare la piacevole chiacchierata con i Mellow Mood che sarà trasmessa a breve sui media locali ma soprattutto con il cuore vi consiglio di ascoltare i loro dischi dall’inizio alla fine perché rimane l’unico modo per comprendere interamente un creativo: solo la fatica è portatrice di cambiamento ed emancipazione, chi ricerca la scorciatoia sarà per sempre vittima dell’autoinganno e del pregiudizio e quando la realtà gli presenterà il debito sarà costretto ad ipotecarsi l’anima.