Partiamo da un’immagine: siamo in Ucraina, oggi. Un bimbo di otto anni si sveglia improvvisamente durante la notte. Scatta in piedi, si veste il più rapidamente possibile e si pone davanti al portone di uscita della casa in cui è ospitato e dove dovrebbe sentirsi al sicuro. Vi è stato portato grazie a un cordone umanitario che lo ha sottratto ai bombardamenti russi. Ma quei “bombardamenti” lavorano ancora nella sua mente e lo tormentano ogni notte, questa notte più delle altre, lasciandolo in preda all’ansia di dover nuovamente fuggire. Rimane lì, tremante, davanti a quel portone. Non è facile “calmarlo”. Alla fine una mamma, la sua è stata portata via dalla guerra, lo convince a rimettersi a letto insieme a lei.
è solo una delle tante centinaia di immagini che ci arrivano da questa nuova guerra.
A questo punto diventa necessario parlare di un libro pubblicato in questi giorni dalla casa editrice Adelphi. Si tratta di “Stalingrado” di Vasilij Grossman. E’ la prima parte di una dilogia, che si completa con “Vita e destino”. I due libri sono usciti entrambi nella loro stesura integrale e non “rammendata” solo dopo la morte dell’autore che in vita ha subito ogni tipo di vessazione e non ha potuto vedere il giusto riconoscimento del valore universale della sua opera. Un’opera che oggi viene giustamente “considerata” come un altro “Guerra e pace”.
I due libri, più filosofico il secondo, più intimo il primo, ci immergono nell’atmosfera della seconda guerra mondiale, lasciandone affiorare anche le conseguenze successive. Infatti Grossman, lavorando alle varie stesure dell’opera, dopo la fine della guerra e dopo aver lodato le conquiste del suo popolo, ha dovuto prendere atto di una deriva che nel nuovo corso staliniano portava a ripetere molte delle orrende colpe del percorso nazista. In particolare lui, ebreo, vedeva rifiorire il sentimento antisemita proprio nello stesso popolo che aveva combattuto il nazismo. Forse addirittura percepiva il disegno di Stalin di dar corso a una seconda shoah. Dunque, piano piano, nei suoi libri emergevano tratti di denuncia di tutto ciò e naturalmente questo non poteva essere tollerato dalle autorità russe, che lo costrinsero prima ad effettuare svariati tagli e modifiche e alla fine arrivarono a sequestrare i suoi manoscritti. Se oggi possiamo leggere “Stalingrado” nella sua versione naturale è solo grazie al miracoloso salvataggio di uno di questi manoscritti, nonché alla formidabile opera di restaurazione operata dai redattori.
Il volume inizia con l’incontro tra Hitler e Mussolini a Salisburgo nel 1942. Un decina di pagine che da sola basterebbe a far percepire la grandezza letteraria di Grossman. All’eccellenza della scrittura si accompagna la notevole capacità di leggere e descrivere i fatti della storia e gli animi dei personaggi. è straordinario il modo in cui lo scrittore russo riesce a entrare nella mente dei due dittatori, nei sottili meccanismi psicologici che agitano entrambi, permettendo di cogliere cosa ognuno pensa dell’altro, quanto ognuno ammira e teme rispetto all’altro. Oggi i fatti della storia possono far sembrare tutto assodato e lineare, ma quando Vasilij scriveva molto restava ancora da decifrare. Eppure la lucidità con cui egli interpreta i fatti fa sembrare oggi naturale anche ciò che poteva non esserlo. Soprattutto, però, l’attrazione e l’ammirazione si legano alla capacità di far vivere la guerra dalla parte degli umili. Con una scrittura anche minimalista, ma preziosamente e “misuratamente” minimalista, entriamo nell’animo della povera gente costretta a subire suo malgrado le conseguenze della guerra, pagandone in massima parte i costi. Accade per ogni conflitto. La guerra, questa “pazzia bestialissima”`come la definiva Leonardo, che pare essere inesorabilmente connaturata all’essere umano. Da sempre gli uomini si fanno la guerra e nulla lascia pensare che mai smetteranno. Anzi, riusciamo a rendere i conflitti maggiormente terribili, grazie ad armamenti sempre più micidiali. Ci siamo messi in condizione di far implodere più volte l’umanità intera, ma pare che la cosa ci lasci indifferenti. La fame di potenza sembra essere così grande da superare persino il pericolo del totale “autoannientamento”. E a pagare le conseguenze sono intanto sempre i più deboli. Sta accadendo in questi giorni in Ucraina ma anche in tante altre parti del mondo. L’industria militare per molti paesi è fondamentale e dunque occorrono guerre continue per alimentarla. Non si vuole pensare a possibili conversioni. Non si vuole percorrere vie di pace e amicizia, magari anche attraverso rinunce e limitazioni poste ad uno sviluppo frenetico e ormai sempre più fuori controllo. No, continuiamo a fare guerre, “alimentiamo” i deliri di onnipotenza, perpetuiamo massacri e genocidi. Sempre più i conflitti colpiscono in maggior parte i civili, sottoponendo persone prive di responsabilità a torture, crudeltà e patimenti infiniti. Si coinvolgono persino i bambini, vittime ancora più penose nella loro innocenza e nella totale impossibilità di trovare negli accadimenti un senso, anche quello più illogico. Da un bambino che sta per essere ucciso dovremmo sentire levarsi il grido “io non ho fatto niente”. Un grido lacerante che dovrebbe far inorridire chiunque. E invece la mano del crudele di turno non si ferma. Che uomo è questo? A quale umanità apparteniamo?
Per quanto riguarda Putin (ma dovrebbe essere chiaro che lui da solo non potrebbe determinare tutto quello che sta accadendo) si parla di follia, malattia, bisogno di gloria. Si cerca una spiegazione in senso più lato individuando nella sua azione la sostituzione della pratica politica con una sorta di funzione storica, come se questo conflitto rispondesse ad una specie di missione spirituale, quella di riportare la Russia alla grandezza del periodo zarista. Putin lo zar, appunto, oppure Putin il folle? Sicuramente Putin “l’uomo del male”.
Ma senza dimenticare che una parte del popolo russo risulta essere connivente e non solo per effetto della propaganda interna. E senza tralasciare le gravi responsabilità di altri attori politici che con il loro operato potrebbero addirittura lasciare spazio a teorie giustificatorie “dell’operato russo”. Rimane comunque evidente che aggredire un paese devastandolo e massacrando migliaia di persone innocenti non potrà mai trovare assoluzione di alcun tipo. La lettura di opere come “Stalingrado” dovrebbe stimolare una seria riflessione sulla natura dell’uomo, sui suoi immensi difetti ma anche sui suoi possibili lati nobili. Una riflessione che potrebbe spingere a lavorare sulla nostra parte migliore, nel tentativo di far prevalere gli istinti di pace, giustizia, serenità.
Grossman ha avuto una vita difficile, ha subito pesanti vessazioni, ha visto da dentro la guerra con tutte le sue miserie, ha perduto la madre per mano dei nazisti. Eppure nella sua scrittura non prevale il bisogno di sfogare le proprie lacerazioni. C’è invece la capacità di penetrare a fondo nella natura umana cercando di coglierne i tanti aspetti, “sviscerarne” i lati più complessi, farne emergere le molte contraddizioni.
Una delle qualità che più mi interessano in uno scrittore è la capacità di andare oltre il vissuto personale per trasmettere una visione d’insieme, atta ad espandere i confini del visibile, magari con proiezioni profetiche. In ciò Grossman è veramente un maestro.
Per questo la sua opera diventa un capolavoro destinato a restare nel tempo. Anche perché la capacità di scrittura, il controllo dello stile, l’equilibrio della trama a distanza di settantanni restano attuali e tali resteranno pure in futuro.
Questa dilogia assurge veramente al rango di ”classico”.
Credo e mi auguro che tale parere possa non sembrare esagerato e invito a provare la lettura di quest’opera, certamente impegnativa ma anche tanto gratificante.