Blognotes 08
Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

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Basilio Brollo, chi era costui

di Carlo Vurachi

Oltre che nella sua natia Gemona, anche a Udine e nella Destra Tagliamento può capitare di incontrare una “via Basilio Brollo”; o addirittura a Roma, a significare che non si tratta di una gloria soltanto locale. Chi fino a qualche mese fa si fosse posto la manzoniana domanda “Chi era costui?”, avrebbe trovato risposta alla sua curiosità, leggendo la voce che gli è dedicata nel Dizionario biografico degli Italiani (Girolamo Bertuccioli. Basilio Brollo. Vol. 14, 1972) e quella più recente del Dizionario biografico dei Friulani (Francesco Micelli Basilio Brollo. Vol. II Età Veneta, 2009). Queste letture avrebbero rivelato una personalità assolutamente non irrilevante, in cui la storia delle missioni cattoliche in Cina e la storia della sinologia si intrecciano e concorrono a fare di un semplice frate minore, nato all’estrema periferia orientale della Terraferma della Repubblica di Venezia, una figura chiave nei rapporti culturali tra Europa e Celeste Impero.

Oggi, però, in due libri appena pubblicati nella Collana Storica dell’editore Gaspari di Udine, il professor Giuseppe Marini ci prende per mano e ci conduce per sentieri d’oriente raramente battuti, se non dagli specialisti. Il primo dei due volumi –La porta rinchiusa del Celeste Impero – funge in un certo senso da introduzione al secondo – Padre Basilio e Bonaparte. Peripezie di un missionario e del suo dizionario cinese – e traccia la storia dell’avventura missionaria della Chiesa Cattolica in Cina tra il XVI e il XVIII secolo. Sono gli anni in cui incontrano il Celeste Impero prima il navarrese Francesco Saverio (Francisco Javier, Castillo de Javier 1506 – Isola di Shangchuan 1552) , poi il marchigiano Matteo Ricci (Macerata 1552 – Pechino 1610) e, infine, il friulano Basilio Brollo (Gemona 1648 – Xi’ an 1704).

Espansione marittima portoghese, missioni e padroado real.

La stagione che a partire dal XIII secolo aveva visto gli ordini mendicanti spingersi in India e in Cina per predicare il Vangelo si era conclusa intorno alla metà del secolo seguente , quando l’affermazione della dinastia Ming, xenofoba e intollerante, e la grande epidemia di peste, avevano provocato il collasso della rete missionaria che si era sviluppata tra il Medio e l’estremo Oriente, l’isolamento e la scomparsa di quelle giovani e lontane comunità cattoliche. Ma l’avventura missionaria in Oriente è resa nuovamente possibile dall’espansione marittima portoghese del XVI secolo.

Marini lascia da parte le suggestioni letterarie che potrebbero suggerire l’epica contemporanea di Camões (Por mares nunca dantes navegados…), o la riflessione lirica di Pessoa (Ô mar salgado, quanto de teu sal / são lagrimas de Portugal!) e vede nel viaggio di Vasco da Gama del 1498 l’impresa che apre finalmente la via delle Indie, ricercata metodicamente dai Lusitani per tutto il XV secolo; il successivo viaggio di Luis Àlvares Cabral nel 1500 getta le basi dell’impero di Lisbona e del suo monopolio nel commercio delle spezie, che fa ricorso in maniera spregiudicata alla violenza, sempre eticamente giustificata contro infedeli (=mussulmani) e gentili (=animisti, hindu).

Una serie di Bolle pontificie, infine, viene definendo obblighi e privilegi della corona portoghese nella diffusione della fede e nell’ organizzazione della Chiesa cattolica nelle Indie Orientali: il 12 giugno 1514 la bolla Pro excellenti praeeminentia di Leone X erige Funchal, nell’isola di Madeira, a sede episcopale, con una diocesi che va dalla costa della Mauritania alla Cina; con la stessa bolla il re del Portogallo acquisisce il diritto di patronato e di presentazione del candidato alla sede vescovile: è il padroado real, che dovrebbe riguardare soltanto i territori effettivamente controllati dai portoghesi, ma che Lisbona intende come applicabile a tutti i territori a est del Capo di buona Speranza.

La Congregatio de Propaganda Fide.

Nel 1580, però, due anni dopo la morte del giovane re Sebastiano II, la corona portoghese passa a Filippo II di Spagna e i sovrani di Madrid la tengono fino al 1640, quando l’indipendenza del regno viene restaurata sotto la dinastia nazionale dei Bragança. In questi sessant’anni le posizioni di monopolio politico e commerciale che erano state il presupposto necessario del padroado sono state travolte dall’apparizione di nuovi attori sulla scena dell’Oceano Indiano: Olandesi, Francesi, Inglesi sono i nuovi protagonisti. La Chiesa di Roma non può non tenerne conto e nel 1622 crea la Congregatio de Propaganda Fide, che ha il compito di promuovere l’attività missionaria nelle terre su cui Lisbona non esercita un controllo effettivo e di organizzare le nuove comunità cattoliche in Vicariati Apostolici, direttamente dipendenti dalla Santa Sede. In questo modo al monopolio del padroado real si sostituisce una dualità che spesso degenera in un dualismo giurisdizionale antagonistico, cui si aggiungono gli aspri contrasti tra la Compagnia di Gesù e gli ordini mendicanti e le rivalità nazionali, che spesso guidano i missionari di origine portoghese, spagnola o francese.

Sullo sfondo di questa specie di ludus magnus, che anticipa il great game anglo-russo di fine Ottocento, si svolge l’esperienza missionaria di Basilio Brollo, al secolo Mattia Andrea Brollo.

Basilio Brollo missionario e sinologo.

Il secondo dei due volumi di Giuseppe Marini segue i suoi passi dalla prima formazione nella natia Gemona agli studi nel Collegio gesuitico dell’absburgica Gorizia. Nel 1666 veste l’abito dei Frati Minori riformati nel convento di San Bonaventura a Bassano del Grappa e finalmente nel 1680, dopo alcuni anni dedicati all’insegnamento teologico, matura la vocazione missionaria e parte per la Cina, dove giunge dopo quattro anni, nel 1684.

Qui Basilio si trova coinvolto attivamente nel conflitto giurisdizionale che oppone Padroado e Propaganda fide e in quello dottrinale sui “Riti cinesi”, che oppone la Compagnia di Gesù agli ordini mendicanti, ma il lascito fondamentale del suo ventennale soggiorno nel Celeste Impero sono la sua opera di studioso della lingua cinese e il suo impegno di lessicografo.

Il lavoro lessicografico di Brollo, che produce nel 1694 il Dictionarium sinico-latinum, è svolto per conto della Congregatio de Propaganda Fide, con lo scopo di fornire strumenti utili per l’apprendimento della lingua cinese a quanti dopo di lui affronteranno l’impegno missionario nel Celeste Impero. La sua opera va vista nel quadro della cosiddetta “linguistica missionaria”, che impegna i missionari, in primo luogo quelli della Compagnia di Gesù, nello studio, nella descrizione e nella normalizzazione di circa 140 lingue extraeuropee, in gran parte rimaste fino a quel momento allo stadio dell’ oralità, che vengono dotate di grammatiche e lessici riferiti al latino.

Dal Dictionarium sinico-latinum al Dictionnaire chinois, français et latin.

Dizionario cinese -francese – latino del 1813 di De Guignes -Brollo

L’ultima parte del libro di Marini segue le peripezie del Dizionario cinese di Brollo, che circola in una ventina di copie manoscritte, mentre fallisce nel 1731 un tentativo di darlo alle stampe, affidato a Matteo Ripa, fondatore del Collegio dei Cinesi di Napoli.

Nel 1797, in seguito al Trattato di Tolentino tra Bonaparte e lo Stato Pontificio, una copia del manoscritto emigra dalla Biblioteca Vaticana alla Bibliothèque Nationale de France. A Parigi l’incarico di pubblicare un dizionario cinese viene affidato da Napoleone a Louis Chrétien de Guignes, già console di Francia a Canton, il quale adatta il manoscritto di Brollo e lo dà alle stampe nel 1813 come Dictionnaire chinois, français et latin. Si tratta di un vero e proprio plagio, che però viene ben presto smascherato dai sinologi francesi che riconoscono al frate di Gemona la paternità del dizionario appena pubblicato. Nel frattempo tra il 1815 e il 1823 il missionario protestante inglese Robert Morrison pubblica a Macao i sei volumi del suo Dizionario cinese-inglese. E proprio a partire da questa gara tra sinologi che prende il via sulle due sponde della Manica vorrei avviarmi verso una considerazione conclusiva.

Latino, cinese,francese e ……inglese: qualche considerazione finale.

L’imperatore Kangxi, ritratto ufficiale

“Una lingua è un dialetto con un esercito e una marina” (Max Weinrich).

“Quante divisioni ha il Papa?” (Stalin).

A partire dall’inizio dell’Ottocento in Francia e in Inghilterra lo studio della lingua cinese e in generale delle lingue extraeuropee non ha più una finalità religiosa, ma, seppur mosso da un interesse genuinamente culturale, è elemento strategico delle politiche imperiali delle due principali potenze europee.

Nel 1689, quando Basilio Brollo soggiorna in Cina già da cinque anni,nella piccola città di Nerčinsk, nell’ Estremo Oriente siberiano viene sottoscritto il primo storico trattato per la definizione del confine russo-cinese. Lo zar Pietro I il Grande è rappresentato dal suo Ministro Fëdor Alekseevič Golovin, l’imperatore Kangxi della dinastia mancese Qing, dal ministro Songgotu. Il negoziato diplomatico tra “Moscoviti” e Cinesi si svolge in latino, con l’ausilio di interpreti: per i Russi il polacco Andrzej Białobocki e per i Cinesi i due gesuiti Jean-François Gerbillon, francese, e Tomás Pereira, portoghese, Il testo del trattato viene redatto in latino e tradotto in russo, mancese e mongolo; una traduzione cinese verrà fatta solo due secoli più tardi. Per anni, dopo il Trattato, i gesuiti insediati a Pechino continueranno ad assicurare in latino l’intermediazione tra Russi e Cinesi.

Centocinquanta anni dopo un’esperienza simile è irripetibile. La parabola del Dictionarium sinico-latinumche diventa Dictionnaire chinois, français et latin è significativa di questo passaggio da una dimensione culturale/religiosa, rispettosa del multilinguismo, a una dimensione politica, che tende al dominio, anche linguistico. L’intermediazione linguistica universale è oggi rivendicata dall’attuale

lingua imperiale, che punta a imporre un monolinguismo planetario e intanto corrode, dequalifica e cancella tradizioni plurisecolari.

Oggi non è più il tempo di una lingua senza un esercito e una marina, per dirla con Max Weinrich, o per una lingua senza divisioni, per dirla con Stalin. Questo sarebbe oggi il limite del latino del Dictionarium di Brollo o del Trattato di Nerčinsk; ma anche potrebbe essere di nuovo domani – perché no? – la sua forza.