Blognotes 08
Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

Articolo presente in

La chiesa di Mario Botta a Pordenone

di Renato Russi

«Costruire una chiesa può essere per l’architetto un modo di confrontarsi con i temi più profondi dell’abitare, può essere un tentativo di rileggere i valori dell’organizzazione dello spazio, per riscoprire la forza e il potere del costruire.

La chiesa si presenta come una casa ad un solo piano: si configura attraverso l’atto di fondazione nel segno del tracciato perimetrale, si precisa nel disegno di un interno rispetto all’infinità dello spazio esterno, nasce da un sito, il suolo, che si tramuta da condizione di natura in condizione di cultura, si confronta con il margine della copertura che ne misura lo spazio. Poi si offre come casa comune per l’uomo che aspira alla ricerca dei valori» (cit. arch. Mario Botta).

Mario Botta a HANGZHOU,CHINA,2007. Cantiere per un office building progettato da Arch. Renato Russi. Foto di Simone Ruzzenente

La città del passato non nasceva per una legge dello stato, ma fondava la sua origine su “valori”, fossero essi politici economici, legati a sacrifici umani, a riti e mitologie. In questi si identificavano i bisogni collettivi che, fortunatamente, a loro volta non erano soltanto politici o economici, ma soprattutto estetici (es. la città di Pienza), avendo posto a fondamenta del nuovo, l’epos”, la rappresentazione spettacolare della natura umana e dei suoi caratteri. La costruzione di questo mito, avveniva ancora per stratificazioni. portandosi dietro nel tempo frammenti di discorsi, parole, sul cui significato l’intera comunità aveva piena cognizione. Così la conservazione non era “rispetto” del passato, ma consuetudine, come la pratica antica dell’accumulo di memorie che costruisce la storia della casa. e “Poiché la città è un bene comune ed altissimo, occorre che la sua forma nasca dal confronto dialettico dei gusti e delle aspirazioni del singolo con quelli della comunità tutta. Solo in questo equilibrio che limita e nega l’isolamento individualistico si compie la moralità dell’architetto” (1).

“Per architettura della città si possono intendere due aspetti diversi: nel primo caso è possibile assimilare la città a un grande manufatto, un’opera di ingegneria e di architettura, più o meno complessa, che cresce nel tempo; nel secondo caso possiamo riferirci a degli intorni più limitati dell’intera città, a dei fatti urbani caratterizzati da una loro architettura e quindi da una loro forma (2).

La città di Pordenone è cresciuta negli anni 1980/90 grazie ai contributi di architetti di fama e qualità indiscusse quali Gino Valle (il Centro Direzionale), Otmar Barth (la Curia Vescovile, Robert Krier e Mario Botta (la Chiesa Beato Odorico, oggetto di questo articolo). Opere che sono riuscite a mutare la condizione atipica di una città non-città.

In tutte le città esistono dei grandi palazzi che sono poi tra loro comuni tanto da identificarli come “tipi”. In questo modo si identifica il teatro, il palazzo delle abitazioni, la biblioteca, la casa, la chiesa…(2)

L’architetto Mario Botta di Lugano, con la collaborazione degli architetti pordenonesi Italo Giorgio Raffin e Piero Beltrame, è stato fautore di una piccola ma importantissima opera per la città: la Chiesa del Beato Odorico in v.le Libertà a Pordenone. Questa opera iniziata nel 1990 è stata possibile grazie alla volontà e alla tenacia del Parroco Don Walter Costantin e del Consiglio Parrocchiale e con l’attenzione delle autorità regionali competenti di allora. Il loro valore va evidenziato anche per questo successo; in una strada ove era assente qualsiasi traccia di architettura la loro opera è presente come fulcro principale, come il “tipo” riscoperto. La Chiesa come spazio definito da un asse, uno spazio per l’incontro, un luogo simbolico, uno spazio con dimensioni di vuoto per il silenzio, per il suono, per il “non detto”, diventa Istituzione.

Chiesa del Beato Odorico-Pordenone_vista laterale. Foto di Simone Ruzzenente
Chiesa del Beato Odorico-Pordenone_vista laterale. Foto di Simone Ruzzenente

In un periodo caratterizzato da una profonda rivoluzione dei valori umani e sociali, si deve a Botta una ridefinizione del termine “Istituzione”. È. questa. l’espressione che al meglio indica la fede comune di un popolo, quando il mondo pieno di contraddizioni cerca di scoprire la natura vera delle cose. Simbolismo e rigore contrassegnano i caratteri generali di queste fabbriche: precisione e ricchezza del disegno di pianta; singolarità e chiarezza dell’immagine: misura e complessità della luce, obbligata articolazione dell’insieme in luoghi di mediazione con il contesto, luoghi di accesso, di distribuzione, integrati con quelli per la meditazione e per il rito.

LA SCELTA DEL LUOGO DOVE SORGE LA CHIESA

È questa di Pordenone, una Chiesa urbana. Ciò vuol dire che interagisce con la città: viale Libertà è l’asse portante di questa costruzione che si confronta con il verde sotto valle dove scorre il piccolo corso d’acqua e condizioni d’angolo urbane molto particolari. La posizione è già un fatto molto sottile ed è comprensibile il motivo per cui Botta ha scelto questo sito rispetto a quello dietro la casa parrocchiale. In realtà, questo esiste. In un certo senso, la chiesa cuce la struttura tra la strada e la casa attraverso l’addizione e la sottrazione di spazi aperti. Ricordiamo il portico tra Strada Maggiore e la cappella di S. Maria dei Servi a Bologna, dove si trova anche un sagrato circondato da camminamenti a cielo aperto. Il sagrato della chiesa è un luogo di incontro e di preparazione dei credenti, un’area molto importante perché in grado di esprimere valori importanti: “soglia”, dell’accoglienza e dl rinvio.

Chiesa del Beato dorico-Pordenone_particolare. Foto di Simone Ruzzenente
Chiesa del Beato Odorico, Pordenone. Particolare. Foto di Simone Ruzzenente

La Chiesa di Botta si basa su due saldi principi compositivi. La prima è mostrata nella parte bassa dell’edificio: chiostri, colonnati e vani laterali che contengono i servizi parrocchiali una sorta di zoccolo urbano, tale da riempire lo spazio esistente tra le strade e il fondo valle svolgendo così anche da cerniera tra la città e il suo contesto.

Il secondo principio è quello che dà forma alla parte alta: si tratta di staccare la chiesa dal contesto e segnalare la presenza con una forma emergente. Il tronco di cono che con la sua assialità, col suo centro, individua bene il luogo dell’assemblea.

L’ambiente interno è orientato verso il centro dell’azione liturgica e scandito secondo una dinamica che parte dall’atrio, con la proposta dell’antico “Nartece”, si sviluppa nell’aula e si conclude nel “presbiterio”, quali spazi articolati ma non separati. Tale spazio è in primo luogo progettato per la celebrazione dell’Eucarestia; per questo ha una centralità non tanto geometrica, quanto focale dell’area presbiteriale, adeguatamente elevata rispetto all’aula. L’altare, punto centrale, è disegnato con estrema semplicità onde rispondere anche come segno permanente del Cristo sacerdote e vittima, poco distante l’ambone, luogo della parola di Dio, con forma correlata all’altare senza tuttavia interferire con la priorità di esso è in prossimità del l’assemblea. Dalla parte opposta il battistero e il fonte battesimale di forma cilindrica, visibile dall’assemblea e tenendo presente il fatto che il rito del battesimo si articola secondo luoghi distinti con i relativi “percorsi” tutti agevolmente praticabili.

Sullo sfondo in stucco lucido nero, due figure geometriche il triangolo e il cerchio. Il triangolo contiene il Tabernacolo e il cerchio serve a incorniciare e a mettere a fuoco una bella icona della Madonna, opera di Gentile da Fabriano, trovata in Pordenone e donata alla chiesa. L’aula della preghiera con la sua circolarità e elevazione tronco-piramidale all’interno esprime quasi una vecchia fornace, un sistema ascendente illuminato dall’alto.

LA GRANDE TORRE CONICO-PIRAMIDALE

La grande torre conico-piramidale è senza dubbio un riferimento caratteristico, come i campanili di S. Marco e S.Giorgio, atta a delineare l’importanza del costruito al centro del quartiere interessato e nello stesso tempo a definire la città del Noncello. Come il parroco Don Walter Costantin ha fatto rilevare da un piccolo studio dello storico G.C. Testa, la felice adozione dell’originale cupo la a tronco di cono, che sembra richiamarsi perfettamente alla Yurta, la tenda dei nomadi asiatici tuttora diffusa, ma ben nota fin dai tempi di Odorico. Cosi le parole del missionario Giovanni del Pian del Carpine “in alto al centro hanno una finestra rotonda dalla quale entra la luce “paiono anticipare l’idea di quell’apertura luminosa sulla cuspide campanaria. Ritorna alla memoria l’Eremo di S. Galgano in Toscana quando si scorge la grande copertura tronco piramidale in mattoni rossi che il sapiente gioco della luce riesce ad avvincere lo sguardo in preghiera e concentra la volontà di stare insieme che lega gli stessi fedeli.

“Cosa c’è di più intenso della Figura umana in piedi, con le braccia aperte in una astrazione totale, col viso rivolto verso la luce che scende a pioggia dal cielo?” (3). È questa, di Pordenone, un’opera architettonica progettata per “emozioni” e non solo per “funzioni”. “Quando è vera architettura, la funzione non solo la soddisfa, ma la promuove, la determina, la rende leggibile e chiara” (3).

Col mattone e l’intonaco, con un’apertura di luce e un cono d’ombra, si può costruire o un qualsiasi vano edilizio o uno spazio architettonico capace di portare lo stato emozionale dell’uomo che vi penetra, a un punto di massima intensità e di carica spirituale (4). Infatti in questa chiesa l’ambiente, nel primo caso, può essere inerte per il suo spirito, nel secondo, agisce in senso attivo portandolo a livelli di sensibilità dove può essere possibile cogliere il momento dell’armonia, dello stare insieme, dell’equilibrio determinato dal silenzio e dalla luce. Il silenzio con il suo desiderio di essere e la luce che suscita tutte le presenze.

La chiesa di Mario Botta, Raffin e Beltrame non è semplicemente l’architettura di uno spazio sacro: è la casa della luce il cui significato profondo è celato pronto a mostrarsi una volta varcata la soglia. “Non delle forme di tutto ciò si è intesi parlare, ma di quanto esse nascondono” (5).

Particolare piazzale interno. Foto di Simone Ruzzenente
Particolare piazzale interno. Foto di Simone Ruzzenente

Riferimenti Bibliografici

1) Arch. Paolo Portoghesi in Comunità 1957

2) Arch. Aldo Rossi in Architettura della città, ed. Clup 1978.

3) Arch. Glauco Giesleri in Conferenza del 1979

4) Arch. Nicola Pagliara in Conferenza del 1992

5) Arch.cu Manfredo Tafuri e Francesco Dal Co in Storia dell’architettura ed. Electa 1988

6) Arch. Adriano Cornoldi in L’architettura dell’edificio sacro ed. Officina 1995;

7) Arch., Christian Norberg-Schulz in Louis I. Kahn idea e immagine ed. Officina 1980:

8) Rivista Chiesa oggi aprile 1993