Come ogni mattina G uscì dalla porta della palazzina dove viveva. Una piccola città che chiameremo P e che potrebbe somigliare a una delle tante cittadine del centro-nord Italia, con un piccolo centro semi-storico, un fiume che lo circonda e un bel duomo nel mezzo. Oltre la via principale tante palazzine di stili disetanei, distribuite secondo traiettorie centrifughe.
G attraversò la via alberata sulle strisce pedonali di poco laterali alla palazzina. Inaspettatamente e immediatamente comprese che i tigli stavano fiorendo e piangendo. Fiorivano, si sentiva il profumo liberato dai nettàri e il rumore delle api tremebonde che, nonostante la giornata ancora lunga, già dislocavano tra le chiome e le arnie nettare e polline. Ma la cosa sorprendente erano le gocce che arrivavano dall’alto. I tigli lasciavano cadere piccole gocce – microlitri – dense di zucchero. G ci pensò un po’ su, dirigendosi verso il parco cha la separava dall’ufficio e capì che, oltre alle api, i tigli, stavano nutrendo migliaia di afidi¹ che, avidi dei pochi aminoacidi presenti nella linfa elaborata espellevano melata glucidica e salina. Forse i tigli soffrivano e piangevano o forse erano solo un inconsapevole nodo ecologico fra produttore e consumatore, un incastro tra una tessera di domino, la precedente e quella successiva.
G entrò nel piccolo parco cittadino attenta a non inciampare con i tacchi d’ordinanza² tra le fughe delle mattonelle sconnesse che immettevano nel vialetto di ghiaia bianca. Girò la testa verso il basso a guardare il tappeto erboso che seguiva il vialetto e guardò la bellissima infiorescenza di un’orobanche – visibile agli osservatori più acuti e spesso confusa per un’orchidea – e non resistette dall’abbassarsi per provarne il profumo, anche se questo la costrinse a una posizione che avrebbe fatto invidia a numerose yogi.
A G non interessava lo yoga. Cercò lì vicino il trifoglio dalle cui radici si nutriva l’orobanche e lo trovò grazie alle infiorescenze bianche globose. Indifferente al prelievo linfatico della pianta parassita era intento ad allungare i suoi fusti striscianti verso lo sterile pietrisco del vialetto. Questo era intonso, non ancora ghermito dai vegetali, ma G poteva vedere centinaia di coleottili nati dai minuscoli semi mescolati ai sassi, che presto avrebbero riempito dei cespi verde brillante della setaria il vialetto. Le piantine sarebbero rimaste fino a ferragosto. Uno o pochi giorni dopo, di primo mattino³, gli operai comunali le avrebbero sterminate con il glifosato. Ma molti dei semi, ormai caduti e quiescenti non avrebbero assorbito l’erbicida e l’anno dopo si sarebbero ripresentati riaffiorando tra le ghiaie biancastre.
G si rimise in piedi da quella posizione ben poco elegante e spostò dietro le spalle i capelli che le scendevano sul seno destro. Pochi passi più in là si accorse che l’aiuola dove erano sbocciati i crochi ora ospitava le larghe foglie di cespica annua, già di molto cresciute. Le piante sarebbero state ben presto falciate dal filo di plastica di un decespugliatore. Ma sarebbero ricresciute, a partire dalle gemme presenti nel colletto, magari elevando fusti multipli, finché anche loro, d’agosto, avrebbero seguito lo stesso destino della setaria. Forse, ma non è sicuro, avrebbero fatto in tempo a disperdere i piccoli frutti secchi dotati di pappo, che li avrebbe portati lontano, alla conquista di altri giardini e lungo i marciapiedi, in un percorso d’invasione dell’Europa iniziato qualche centinaio di anni fa.
G proseguiva lungo il vialetto, fino a una geometrica siepe di bosso che, proprio in quel momento era ricondotta, dalle lame di un tagliasiepe a motore, a circa un metro d’altezza e sezione rettangolare. Quel tipo di potatura era nata secoli prima nei giardini rinascimentali e stonava in quel parco che ospitava centinaia di piante di tutti i tipi: erbe spontanee e fiori seminati, alberi indigeni e cespugli esotici, muschi, licheni, funghi, uccelli, scoiattoli, farfalle, coleotteri e miliardi di batteri, milioni dei quali annidati nelle radici dei trifogli. E poi donne e uomini, tanti esseri umani più o meno colorati nelle tutte da jogging estive o nei piumini invernali, tutti o quasi inconsapevoli, come le piante.
Seguendo la siepe di bosso G raggiunse l’altro lato del parco e uscendo si trovò nuovamente in una strada, anche questa un viale, stavolta alberato con degli ippocastani che mostravano già sulle foglie le ricamature brunastre della cameraria⁴. La larva del piccolo lepidottero scavava leggiadre gallerie lungo le nervature della foglia, nutrendosi dei tessuti clorofilliani, sollevava l’epidermide in una fila di bolle tondeggianti. Durante l’estate i grandi alberi sarebbero stati defogliati, complici il caldo e il secco che probabilmente sarebbero arrivati anche quest’anno, dimentico, come spesso accadeva, dell’Anticiclone delle Azzorre, e delle piogge convettive che dalle Prealpi talvolta scendono in città. Ma le riserve di amido immagazzinate nei rami e nelle radici erano più che sufficienti per rigenerare migliaia di foglie l’anno successivo. Prima, però, gli alberi sarebbero fioriti e avrebbero inutilmente fruttificato: le giovani plantule eventualmente nate dai grossi semi simili a castagne non sarebbero sopravvissute all’anno successivo.
G attraversò la strada ed entrò nella filiale della banca dove lavorava.
Vedo G ogni giorno feriale e qualche volta anche nei festivi, attraversare il parco sui tacchi d’ordinanza oppure su delle sneakers colorate, indossando il tailleur e il cappotto o dei leggings neri e una t-shirt rossa. Spesso la vedo parlare con le piante, talvolta con le farfalle o le lucertole. Molti credono che le piante la ascoltino, qualcuno crede che le rispondano. Non so dire se questo accada veramente, ma credo di essermi innamorato di lei un giorno di molti anni fa quando, passando, ha alzato i suoi occhi e ha guardato alle fronde della mia chioma.
1- Eucallipterus tiliae
2-Vicedirettrice di agenzia d’istituto di credito locale, esternamente dotata di tailleur antracite, anch’esso d’ordinanza, occhiale a montatura nera, borsa nera di pelle con maniglie abbastanza lunghe che gli aveva regalato sua sorella con laptop incluso (tutti gli accessori descritti sono sempre d’ordinanza) e unghie un po’ lunghe (queste ultime non d’ordinanza), curate, non smaltate, a dire il vero un po’ impari fra di loro.
3- I solerti giardinieri municipali o liberi professionisti appositamente remunerati e del diserbo incaricati avrebbero approfittato di: a) il caldo, che rende il principio attivo più efficace; b) l’assenza di vento, per evitare deriva sulle altre piante causando danni; c l’assenza di cittadini usufruenti del parco, per evitare tossicità su esseri umani e anche inopportune discussioni con altri esseri umani.