Blognotes 08
Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

Articolo presente in

Biologia e mondo della ricerca

di Ivana Truccolo, Barbara Belletti ricercatrice del CRO di Aviano (PN)

Barbara è una biologa che lavora, come ricercatrice, nell’istituto di ricerca e cura della provincia di Pordenone, il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano.   

Una vita professionale dedicata allo studio delle molecole…

“All’inizio, nel periodo della laurea, è stato il mondo del laboratorio ad affascinarmi: mi piaceva molto poter FARE un esperimento, idearlo e riuscire a portarlo a termine con un metodo rigoroso. Mi sono appassionata all’aspetto scientifico vero e proprio della ricerca quando ho cominciato a occuparmi di cancro, verso la fine del dottorato attorno al ’95. Lì è scattato l’interesse per questo tipo di patologia, abbinato alle potenzialità della tecnologia.

Quale la differenza fra il prima e il dopo queste scoperte?

“È completamente diverso – afferma Barbara -, difficile persino fare un confronto. Impossibile guardarsi indietro, la scienza è sempre rivolta al futuro. Ha significato trasformare la biologia in modelli matematici, trasformare in numeri processi biologici complessi: penso ad esempio alle nuove tecniche di imaging molecolare,cioè la rappresentazione, caratterizzazione e quantificazione visiva dei processi biologici a livello cellulare e subcellulare, o alla genomica, la farmacogenomica e tutte le “omiche” possibili.

In fondo si tratta di una digitalizzazione della ricerca che ha enormi potenzialità, ma va abbinata a un retroterra di medicina di laboratorio più strutturato, altrimenti rischia di NON essere un progresso per l’uomo.

Il rischio che si corre oggi è di fare della ricerca descrittiva: poter trattare centinaia e migliaia di campioni di dati relativi agli organismi, analizzarli in profondità secondo moltissimi aspetti grazie a tutte le tecnologie disponibili, ricavarne moltissime informazioni può quasi dare alla testa… Ma la vera sfida sta nella capacità di integrare questa enorme mole di dati. E senza un ragionamento, una visione di cosa si vuole cercare e dove si vuole andare, si riescono solo a produrre enormi banche dati ma non ad andare oltre”.

“Anche questo è stato un processo maturato negli anni. Nei miei primi anni di lavoro, questo non mi era possibile e non lo sentivo neanche come un’esigenza: lavoravo in un Istituto in cui l’edificio dei laboratori di ricerca e quello dove stavano i pazienti erano fisicamente separati e chi lavorava nei due luoghi raramente si incontrava. La ricerca oncologica che svolgevo era ancora di base, non aveva l’obiettivo di essere ancorata ai pazienti. Anche nel mio periodo negli Stati Uniti è stato così, anni importantissimi, ma di ricerca pura.

Ma tu hai l’opportunità di fare ricerca agganciata alla clinica, con i pazienti…

Le cose sono cambiate quando sono arrivata al CRO di Aviano, nel 2002. Un po’ la co-presenza dei laboratori nello stesso edificio in cui si trovano i reparti e gli ambulatori, i luoghi cioè in cui puoi incontrare i pazienti, un po’ le dimensioni. In una struttura piccola come il CRO vi è maggiore facilità a collaborare se si intende farlo, ci si può conoscere tra professionisti diversi che si occupano della ricerca, della diagnosi e della cura, incontrare e scambiare punti di vista. In me è scattato il desiderio di abbinare alla ricerca qualcosa di più vicino al paziente proprio per il fatto di “convivere” nello stesso luogo con i pazienti. Nei primi anni 2000, in cui questo approccio si è consolidato, mi sono appassionata alla ricerca traslazionale che è un termine per indicare il tipo di ricerca che si pone il problema di utilizzare i dati di laboratorio per migliorare diagnosi e trattamenti per i pazienti e viceversa, utilizzare i dati che vengono dai pazienti per la ricerca in laboratorio”.

courtesy of Dr Javad Karimbayli

Rigore nell’esperimento scientifico e creatività nella ricerca

“Quello che mi ha appassionato del lavoro del ricercatore è il rigore del metodo. Saper inquadrare un problema in modo trasparente, porsi un quesito chiaro, fare il punto su quello che già si conosce dell’argomento, capire ciò che si deve esplorare per rispondere al quesito. Se fai un’osservazione che ti colpisce, quello non è un risultato. Rigore scientifico significa calare l’osservazione in un disegno con parametri numerici, controlli positivi e negativi, in modo da poter fare dell’osservazione un risultato. Abbinare poi questo rigore alla creatività che puoi sprigionare all’interno della ricerca, con osservazioni e intuizioni che non hanno nulla di ragionieristico ma molto di umano: questo mi ha intrigato davvero e continua anche ora che posso dedicarmici di meno dal punto di vista pratico.    

La frustrazione del ricercatore

Ma il lavoro del ricercatore è anche molto frustrante. Si procede per “prove ed errori”, quasi sempre quello che tu ipotizzi possa verificarsi non è vero, non si verifica nel 99% dei casi. È un continuo riformulare il percorso…Ci vuole molta pazienza e capacità di sopportare l’insuccesso, che è quotidiano e fa parte integrante del lavoro di ricerca. C’è sempre però anche il desiderio di scoprire, di andare avanti, di fare altre prove sulla base dei risultati emersi… Lo dico sempre anche ai ragazzi giovani che si approcciano alla ricerca. Ti deve piacere, devi avere il gusto della curiosità, della scoperta, di andare avanti nonostante gli insuccessi: gli esperimenti non riusciti, i progetti non approvati, la pubblicazione che i revisori ti chiedono di riverificare…Questa dimensione del fare ricerca è difficile da apprendere, o ce l’hai o non ce l’hai, tutte le altre capacità invece si possono imparare.

Nel mondo della ricerca, c’è poi lavoro per tante figure professionali diverse: biologi, chimici, farmacisti, chimici & tecnofarmacologi, bioinformatici, medici e poi i tecnici che fanno un lavoro bellissimo nella ricerca. Il progresso tecnologico permette loro di fare attività molto meno ripetitive di un tempo, molto più creative”.

Quali le sfide su cui ora ci si concentra?  Quali i buchi nella ricerca oncologica?

“Sono ancora molte, e si sviluppano principalmente su tre fronti: individuare le alterazioni responsabili, capire come colpirle e trovare i veicoli. Anche se ora si riesce a fare una foto del tumore molto più precisa e particolareggiata che in passato, c’è bisogno di tirare le fila all’interno di tutta la mole enorme di dati-informazioni di cui disponiamo. In un tumore puoi trovare tantissime cose alterate ma solo alcune – e non sai mai quali – sono quelle responsabili del tumore, alterazioni “driver”, responsabili del processo di trasformazione e alterazioni “passenger”, conseguenti al processo di trasformazione. Inoltre, all’interno di quelle scatenanti, devi imparare a riconoscere quali sono approcciabili con una terapia mirata. Molto è stato fatto e si sta facendo per trovare nuove molecole capaci di colpire, in gergo tecnico “targhettare”, proprio QUELLA proteina alterata (e non altre). Anche questo ha molto a che fare con la digitalizzazione della scienza: con tecniche 3D si riesce a ricostruire la proteina nelle sue dimensioni reali e questo aiuta a capire meglio come scardinarla. Uno dei grandi temi, cioè buchi da riempire, è riuscire a trovare il modo di far sì che il farmaco penetri in profondità e raggiunga sia la massa tumorale sia le cellule isolate, eventualmente disseminate in diverse sedi del corpo, spesso responsabili delle ricadute”.

courtesy of Dr Andrea Favero

Il tumore come espressione individuale della malattia

“Ognuno ha il suo tumore. Non esisterà mai una parità di situazioni, i livelli di variabilità sono tantissimi. Non solo esistono almeno un centinaio di tipologie diverse di tumori da un punto di vista morfologico e di organo, ma ogni paziente, anche con tumori “simili”, è diverso: per l’ambiente in cui vive e la famiglia da cui proviene, condizioni di vita, dieta, attività fisica… Questo dà un certo spazio di azione alle persone per la prevenzione, anche se non bisogna sottovalutare il fattore “casualità”, erroneamente detta anche “sfortuna”. Sembra un controsenso dato che stiamo parlando di scienza, ma sviluppare un cancro è anche un fatto di probabilità, di casualità: nel quotidiano processo di duplicazione di un’enorme quantità di cellule può accadere che si verifichi un errore che non si riesce a riparare e che alla lunga porti alla formazione di un tumore.  

L’importanza del nostro sistema immunitario

Negli ultimi anni c’è poi stata un’altra rivoluzione: si è molto riconosciuta l’importanza e la possibilità di riattivare il sistema immunitario del paziente, far sì che sia lui a combattere in maniera attiva il suo tumore con l’immunoterapia, per esempio, e altre strategie, ancora in studio. Si è vissuto in una spinta tecnologica acceleratissima, di attenzione alla medicina basata su ciò che è efficace pensando che questo avrebbe potuto risolvere tutti i problemi, ma si è anche riapprezzata l’importanza di riattivare il sistema immunitario delle persone che il tumore tende a sopprimere”.

courtesy of Dr Andrea Favero

Leggo ai pazienti perché

“Quando si è presentata l’opportunità di abbinare attività quali la divulgazione della scienza e la lettura ad alta voce ai pazienti, ho colto l’opportunità. La scienza fa errori ma sa correggersi e poter avvicinare le persone al mondo della scienza, in cui siamo immersi quotidianamente anche senza accorgerci, mi appassiona. Leggere per i pazienti mi dà l’opportunità di sentirmi vicina alle persone, stabilire una sintonia grazie al potere evocativo dei libri, sono sempre stata appassionata alla letteratura. È un dono per gli altri e anche un grande dono e piacere per me stessa!”