Incontro
In passato, fino agli anni ottanta, luoghi di incontro potevano essere la gran parte delle attività commerciali. Andare nel negozio di abbigliamento oppure al bar oppure nella bottega del sarto o in quella del calzolaio o nell’officina del meccanico e in tanti altri posti offriva la possibilità di scambiare delle chiacchiere, socializzare, arricchire la propria giornata. Poi sono arrivati i supermercati, gli ipermercati, i centri commerciali e tutta una serie di catene di vendita gestite direttamente dai produttori. Qualcuno lo definiva ”processo di razionalizzazione”: in realtà si è trattato di un fenomeno caratterizzato da omologazione, anonimato, omogeneizzazione.
Abbiamo svuotato i centri storici e creato tanti ”non-luoghi”.
Questa situazione ha investito anche il mondo delle librerie. I grossi gruppi editoriali hanno fatto nascere un numero sempre più grande di loro librerie provocando la chiusura di tante librerie indipendenti. Ora, dobbiamo chiederci se queste librerie di catena sono ancora luoghi di incontro oppure se non sono diventate o stanno diventando sempre più dei non-luoghi.
La libreria dovrebbe essere un primario luogo di incontro. Il nome della nostra libreria, al Segno, è strettamente legato a questo concetto: i libri sono contenitori di segni che sono contenitori di significati che sono contenitori di messaggi. E allora, un luogo pieno di libri, di libri e non come spesso accade di tante altre cose che libri non sono, deve necessariamente prestarsi allo scambio di parole e dunque di idee, idee anche diverse che messe a confronto suscitano la capacità di rispettare le posizioni altrui, permettendo, attraverso questa diversità, di continuare a riflettere, maturare, prolungare il processo di crescita personale.
La libreria dovrebbe essere un ”luogo con un’anima”, un luogo ove il flusso continuo di libri genera una costante discussione, un luogo di avventura e scoperta, un luogo capace di coniugare risultato economico e intendimenti morali ed etici.
E’ un proponimento che sta diventando sempre più complicato, strettamente legato ad un giusto impegno del libraio ma anche sempre più ad un giusto atteggiamento del lettore, il quale acqui- stando libri mantiene in vita la libreria con la sua missione. Io spesso parlo del ”mestiere del lettore”, che non scrive libri ma partecipa al lavoro dello scrittore mettendosi in dialogo con lui, che non vende libri ma partecipa al lavoro del libraio mettendosi in dialogo con lui. Ecco dunque l’incontro. Un incontro piuttosto difficile nelle librerie di catena, la cui diffusione sembra facilitare in un numero sempre più grande di persone una sorta di indifferenza verso il fatto che la scomparsa delle librerie indipendenti può significare la perdita di un pezzo di anima, più o meno grande ma comunque importante; può significare perdere uno strumento in grado di aiutare ad affrontare quello ”smarrimento” che ci coglie di fronte alla quan- tità sempre più grande di cose che si dovrebbero sapere, in una società che sta diventando sempre più problematica e confusa.
Spesso amo ripetere che noi resteremo finché i clienti ci vorranno.
LA SORTE DELLE LIBRERIE INDIPENDENTI E’ PRIMARIAMENTE NELLE MANI DEI LETTORI.
Se i lettori vorranno preferire i ”non-luoghi” non ci resterà che farcene una ragione. Ed ora parliamo più concretamente della nostra libreria come luogo di incontro.
In quarantacinque anni di lavoro credo di aver avuto il privilegio di sviluppare questo compito grazie all’impegno mio e dei miei colleghi ma anche grazie alla risposta e alla collaborazione di tantissimi clienti, che hanno sposato la nostra missione e sono diventati nel tempo ”clienti amici” quando non proprio ”amici clienti”. In fondo il senso del tanto lavoro svolto, per me, rimane proprio questo. A volte mi domando se la mia sia stata una scelta di vita giusta e mi assale il dubbio di aver ”sbagliato la mia vita” e che forse un suo bilancio finale potrebbe non risultare veramente positivo. Francamente, non so rispondermi.
Quello che certamente rimane e rimarrà è il patrimonio costituito dalle tante persone conosciute in libreria, persone con le quali appunto c’è stato un incontro: ciò mi dà una sicura soddisfazione e un senso di gratitudine. Questa rimane la cosa fondamentale!
Naturalmente posso anche parlare di incontri particolari con personaggi di rilievo. Ma, attenzione, uso la parola ”rilievo” molto sottovoce: per convinzione personale non amo considerare alcune persone più importanti rispetto ad altre; possono essere più famose, avere raggiunto traguardi ragguardevoli, aver lasciato eredità di grande rilievo, dunque essere degne di ammirazione e rispetto, ma come persone le considero alla pari di tutti i clienti che mi hanno onorato della loro collaborazione. Perché, insisto, la vendita di un libro deve andare oltre l’atto commerciale per divenire anche scambio di opportunità culturale, sociale, umana.
Comunque, ecco alcuni dei miei incontri particolari.
Il primo non può che essere quello con Giulio Einaudi. Devo metterlo al primo posto in quanto ritengo che a lui si debba la più importante stagione editoriale del nostro paese. L’attività di questo editore ha dato un contributo notevole alla crescita della nostra comunità sul piano culturale e civile. Anche per lui si è trattato di una missione che lo ha portato a far lavorare insieme un gran numero delle intelligenze che il nostro paese possedeva in quel momento. Restano unici i famosi ”mercoledì einaudiani”, quando tutti questi personaggi si riunivano intorno a un tavolo per discutere il programma editoriale, con lui che riusciva a tenere il tutto coeso e sotto controllo. Non so quanti altri avrebbero saputo farlo. Lo spiega molto bene Ernesto Ferrero nel volume ”I migliori anni della nostra vita”, pubblicato da Feltrinelli nel 2005. Ebbene, un sabato mattina, accompagnato dai colleghi della sua agenzia locale, è comparso improvvisamente in libreria: un signore ormai anziano ma ancora tanto attento alle cose della casa editrice, molto elegante, pacato, rispettoso. Tra le altre cose ho potuto chie- dergli una conferma del fatto che Cesare Pavese facesse riscrivere al signor Italo Calvino anche dieci volte un risvolto di copertina non essendone mai soddisfatto, e il signor Calvino riscriveva. La conferma non è mancata: allora in quella casa editrice si lavorava in questo modo e i risultati sono ben visibili ancora oggi.
Altri due incontri che amo ricordare sono quelli con Boris Pahor e Giorgio Pressburger. Un Boris Pahor (ricorderei in particolare il suo ”Necropoli” riproposto da Fazi nel 2008) che, ultra ottantenne, alle otto di sera dopo una giornata impegnativa, pareva ancora vispo come un ragazzino. Un Giorgio Pressburger (interessante ancora oggi il suo ”Sulla fede” uscito con Einaudi nel 2004) anche lui ormai anziano, caratterizzato da una nobile compostezza. Interessante il fatto che entrambi, in momenti ben diversi, abbiano definito quello dei librai un mestiere da ”eroi”. Naturalmente non considero certo me stesso meritevole di un tale epiteto, però mi ha fatto piacere sentirlo usare. Chissà, forse loro qualche motivo per affermarlo lo avranno avuto.
Ricordo piacevolmente anche l’incontro con Roberto Calasso, da tutti considerato uomo piuttosto altero, consapevole della propria eccezionale portata culturale: ebbene, a me è risultato essere persona affabile e piuttosto pragmatica, capace di fare domande al libraio molto concrete (tra le altre sue opere ricorderei in particolare ”Le nozze di Cadmo e Armonia” uscito con Adelphi nel 1988).
Simpatico è stato l’incontro con Javier Cercas, scrittore di fama mondiale eppure maestro di umiltà e simpatia (per conoscerlo si può iniziare con ”I soldati di Salamina” pubblicato da Guanda nel 2001 e da allora sempre presente nel nostro settore dei libri consigliati). Ricordo l’incontro con Antonio Tabucchi, anche lui molto pacato, che ha voluto acquistare alcune cose di Mauro Corona, essendo rimasto particolarmente colpito da un suo intervento durante la conferenza appena terminata (di lui mi piace ricordare ”Notturno indiano” proposto da Sellerio nel 1984). Con lo stesso Mauro Corona, naturalmente, ci sono stati diversi incontri, ma purtroppo da molti anni non ho più il piacere di vederlo, essendo lui ormai così famoso e conseguentemente molto impegnato (tra gli altri suoi libri menzionerei in particolare proprio il primo, ”Il volo della martora”, pubblicato da Vivalda nel 1997).
Un accenno anche all’incontro con Bjorn Larsson, persona particolarmente intraprendente, capace di parlare simpaticamente del suo amico Arto Paasilinna molto amante del buon vino e spesso in preda alla conseguente ebbrezza (di Larsson consiglierei in particolare un atipico giallo letterario, ”I poeti morti non scrivono gialli”, uscito con Iperborea nel 2011). Ho avuto un piacevole incontro con Benedetta Craveri (molto interessante il suo ”Amanti e regine” edito da Adelphi nel 2005), nipote di Benedetto Croce, la quale mi ha sbalordito sostenendo che suo nonno come scrittore era ancora più bravo che come filosofo. Ricordo l’incontro con Michel Maffesoli (piuttosto utile ancora oggi il suo ”Del nomadismo” uscito con Angeli nel 2000), che si attribuiva scherzosamente il merito di aver fatto vendere a Joel Dicker tantissime copie del suo ”Gli ultimi giorni dei nostri padri” grazie a una recensione assolutamente negativa. E terminerei allegramente con Aldo Busi, arrivato improvvisamente un sabato mattina: abbiamo potuto affrontare tre argomenti e in tutti e tre i casi ho dovuto incassare il suo contraddittorio (di Busi, pur sapendo che questo lo fa arrabbiare, mi unirei a quanti considerano come migliore proprio la sua prima opera, ”Seminario sulla gioventù”, pubblicata da Adelphi nel 1984).
Incontri, naturalmente, ce ne sono stati molti altri, ma non mi pare il caso di insistere. Piuttosto vorrei sottolineare ancora una volta che la vera gratificazione per me rimane quella degli incontri quotidiani con i miei clienti amici o amici clienti.