Ci sono alberi, in questo caso dei Tigli, che nel tempo sono diventati simboli di cambiamenti importanti.
Per la mia vita, ma anche per quella di molti altri, segnando un prima ed un dopo in due diversi luoghi, Gemona e Pordenone.
La villa dei nonni paterni a Gemona, nella località di Piovega, si chiamava “Il Tiglio”. Anche se di questi alberi in realtà ce n’era più d’uno, almeno quattro, a delimitare la strada di accesso al cortile interno.
Già solo a sentire il nome “Tiglio” gli occhi si colorano di immagini, affetti, calore familiare, giochi, giardino, campagna, amici. Soprattutto vita libera in ampi spazi. Una specie di Paradiso, che è durato fino al 6 maggio del 1976.
Il terremoto ha distrutto non solo paesi, vite, ma anche un delicato tessuto di relazioni difficile da ricostituire.
Gli alberi, pero’, sono ancora al loro posto, seppure in un contesto tutto diverso.
Sentinelle affidabili e profumate. La notte della distruzione, arrivando a Gemona poco dopo le 22 da Pordenone assieme ai miei genitori, sono stati loro ad indicare, in mezzo alle macerie, dove dovevamo dirigerci. Con le chiome quasi brillanti nel buio, a segnare il posto dove un tempo sorgeva la casa dei nonni. Il Tiglio.
Il 19 giugno del 1968, sotto i Tigli della Fiera di Pordenone, durante la ricreazione, si è diffusa la tremenda notizia che il pomeriggio del giorno prima, l’aereo che portava tutto il gruppo dirigente della Zanussi, aveva avuto un incidente ed erano morti tutti quelli che vi erano imbarcati, compresi i piloti.
Proprio l’anno della quinta elementare, c’era stato il trasferimento dalle scuole Gabelli alle scuole all’Aperto, collocate nell’area della Fiera.
Una classe femminile, con l’aggiunta proprio in corsa, in occasione del cambiamento di sede, di tre maschi. Che ci avevano insegnato a giocare a pili, proprio all’ombra degli alberi.
E la notizia della morte di Lino Zanussi e dei dirigenti Alfio Divora, Giovanni Battista Talotti si era sparsa durante la ricreazione a macchia d’olio anche fra noi alunni. Sotto i Tigli, in questo caso testimoni silenti dell’inizio di un processo irreversibile.
Forse un passante, o una mamma venuta a portare la merenda ad una figlia, potevano aver diffuso la notizia.
Che aveva lasciato molti di noi sgomenti, figli di dipendenti che lavoravano alle Industrie Zanussi.
Colpiti per la morte tragica di tante persone, ed anche a chiederci cosa sarebbe successo, se ci sarebbero state conseguenze per il lavoro dei nostri padri. Se quel tessuto di eccellenze industriali, come ci aveva poi chiarito la nostra maestra, fatto di uomini speciali che guidavano con lungimiranza la nostra cittadina, si poteva mantenere o ricreare
Come si potrebbe perdonare se un intervento per mano dell’uomo creasse una frattura insanabile tra un prima e un dopo? In un tessuto sociale dove la trama e l’ordito sono i cittadini e il bosco dei tigli.