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Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

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Cinema a rischio e rischio nel cinema

«Il cinema italiano sta male e la causa di questo star male sono i brutti film e i brutti film son tanti e mettono in una condizione mentale tesa a cercare di stare il più possibile dentro un canone che dovrebbe essere quello del film che funziona a qualsiasi livello. Bisognerebbe invece cercare di essere più liberi. Per fortuna una delle pochissime cose che non sono riusciti a capire è come si fanno i film che incassano. A volte succede che un piccolo film, inatteso, abbia un grosso successo e questo è un bene prezioso che crea le condizioni affinché i produttori lascino la porta aperta alla creatività dell’autore e al rischio.» queste profetiche parole Carlo Mazzacurati le pronunciò, quasi un quarto di secolo fa, in occasione di una nostra conversazione/intervista per la presentazione del suo film La lingua del santo a Venezia. Una lucida e ancora attuale analisi della situazione del comparto cinema in Italia dove poco o nulla sembra cambiato a distanza di 25 anni.

Continuano i piccoli film ogni tanto ad emergere, a sfondare con successo, come il recentissimo caso, eclatante, di C’è ancora domani opera prima di Paola Cortellesi. Un piccolo film, escluso anche dal finanziamento del Ministero, che ha raccolto però un successo clamoroso, diventando un caso, l’ennesimo, con quasi sei milioni di biglietti staccati, superando anche gli incassi di prodotti hollywoodiani mainstream.

Ma la voglia di rischiare, di lasciare all’autore libertà creativa, di intraprendere nuove strade sembra non far breccia, nonostante tutto, nel tessuto produttivo del cinema italiano. I produttori dovrebbero amare il rischio del cinema, seguirlo anche e soprattutto nelle sue imprese meno scontate, sentirsi coinvolti assieme agli autori, ai registi, agli sceneggiatori in nuove avventure.

Assistiamo invece ai soliti percorsi per “stare il più possibile dentro un canone che dovrebbe essere quello del film che funziona a qualsiasi livello”; percorsi che seguono canali sicuri (sulla carta), con nomi collaudati, su temi e narrazioni già percorsi e quindi più facilmente appetibili. Raccolgono il budget necessario attraverso prevendite a televisioni e piattaforme. Vendono i diritti di sfruttamento per i mercati esteri e per il mercato italiano. Una volta raccolta la cifra necessaria a produrre il film, termina il loro interesse di produttori per l’opera, quindi nessuna cura nell’uscita nelle sale, nessun accompagnamento del film al pubblico. Il mesto risultato sono alla fine una serie di film brutti, autoreferenziali, che restano in cartellone pochi giorni, snobbati dal pubblico e critica.

Quella “porta aperta alla creatività dell’autore e al rischio” in realtà non si è mai totalmente dischiusa, anzi i registi che hanno tentato di liberare la propria creatività, senza trovare adeguato riscontro del pubblico, hanno pagato cara questa scelta. L’iper selettivo mondo del cinema non ammette errori, e tantomeno flop, e questo non ha risparmiato nemmeno Andrea Molaioli che, dopo l’exploit de La ragazza del lago, record di David di Donatello vinti nel 2008, inciampa ne Il gioiellino, film sul crac della Parmalat, e in Slam–Tutto per una ragazza; due flop che non gli permetteranno più di riuscire ad avere un budget sufficiente per tornare su un set cinematografico.

Stessa amara sorte per Alessandro Angelini che con L’aria salata, sua opera prima, ricevette nel 2007 le candidature a miglior regista esordiente ai David di Donatello, ai Nastri d’Argento, premio miglior regista al Globo d’Oro e al Bobbio Film Festival. Con il suo secondo lungometraggio Alza la testa con Sergio Castellitto non riesce però a bissare il successo del primo film e scompare dai radar cinematografici.

Non sapremo mai quali film non prodotti sarebbero stati di grande successo, mentre sappiamo benissimo quali ruoli apicali, di successo sono stati rifiutati dagli attori e attrici per non correre rischi di natura diversa.

Sarebbe lunghissimo l’elenco, citiamo solo due casi emblematici: quello di Anna Magnani e quello di Jean-Louis Trintignant entrambi riferiti a due film italiani.

 

La Magnani decise di abbandonare il ruolo di Cesira protagonista ne La ciociara quando seppe che Vittorio De Sica voleva affidare il ruolo di Rosetta, sua figlia nel film, a Sophia Loren. Si rifiutò fermamente di interpretare il ruolo della mamma in quanto non voleva rischiare di apparire più invecchiata del reale. Questo rifiuto permise poi alla Loren di prendere il suo posto nel film e raggiungere la celebrità mondiale guadagnandosi anche un Oscar. Non era  la prima volta che Anna Magnani rifiutava un ruolo da protagonista.

Luchino Visconti la voleva nel 1943 protagonista di Ossessione ma al momento di girare il film Anna Magnani rifiutò in quanto era troppo avanti con la gravidanza e la parte venne affidata a Clara Calamai. Il film è considerato unanimemente il capostipite della nascita del neorealismo per l’ambientazione e per la forza espressiva delle scene passionali tra i due protagonisti. Mentre Jean-Louis Trintignant rifiutò il ruolo di protagonista in Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, con il quale del resto aveva già lavorato qualche anno prima in Il conformista. Aveva anche seguito la sceneggiatura di Ultimo tango a Parigi ma, per non rischiare di mettere in discussione il rapporto con sua figlia, allora vivace adolescente (lo aveva pregato di lasciar perdere altrimenti le compagne di scuola l’avrebbero presa in giro) abbandonò il progetto e il ruolo poi venne affidato a Marlon Brando.

 

E l’elenco dei ruoli rifiutati per non correre rischi sarebbe ancora lunghissimo: se Cary Grant non avesse a suo tempo rifiutato, per non correre rischi di immagine, di interpretare James Bond non avremmo mai conosciuto Sean Connery! Ma la storia, anche quella cinematografica, non si fa con i “se”