Riflessioni semiserie sugli spazi museali a Pordenone
La Cultura ha una forma a clessidra
…intanto ci sarebbe da chiedersi cosa significa, per ciascuno di noi, “Cultura”. E a questo punto si aprirebbe un tale ginepraio che anche il lettore più paziente e preparato ne sarebbe scoraggiato. Mi contento di dire che, per me, per gli amici con cui in questi mesi ho condiviso le riflessioni che hanno portato alla nascita della lista civica Il Bene Comune, il termine “Cultura” non si esaurisce in una sommatoria, spesso piuttosto sconclusionata, di “eventi” (parola che volentieri abolirei dal lessico di un’amministrazione…). È piuttosto il risultato di un processo, lentissimo, graduale, per lo più non facilmente visibile e quantificabile, di crescita intellettuale e morale di un’intera comunità. Abita nel paesaggio di riferimenti, idee, modi di pensare, entro cui viviamo; si nutre di esperienze individuali che sanno farsi però patrimonio collettivo; ed esprime ciò che di più squisitamente umano c’è in noi – pensiero, emozioni, visioni, bellezza – qualcosa che, però, è anche storicamente determinato, strutturalmente correlato quindi al contesto sociale in cui ci collochiamo.
…E ha una forma a clessidra: da un lato il passato, dall’altro il futuro; in mezzo, nel punto più stretto, il presente, che “fa passare” i granelli di cultura da un tempo all’altro. Più è ampia la nostra conoscenza del passato, più sarà ampia la nostra capacità di visione del futuro – è un’idea non mia, ma rubata a un grande didatta della storia, Antonio Brusa. Anzi, meglio parlare di mondi futuri, al plurale, perché l’altro fondamentale insegnamento che ci viene dalla Storia è quello della pluralità – pluralità di civiltà, culture, religioni, sistemi di pensiero – quindi, necessariamente, della tolleranza.
Non c’è Cultura, non c’è umanità, non c’è Umanesimo, senza la consapevolezza che ogni sistema di valori e riferimenti è solo uno degli infiniti sistemi possibili.
Impareggiabile Costituzione
Anche la riflessione sull’assetto museale di Pordenone non può che partire dall’articolo 9 della nostra Costituzione: La Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Ricordiamolo, citiamolo per l’ennesima volta perché, nell’apparente semplicità, contiene una visione amplissima. Prendiamo in considerazione i sostantivi, “ricerca scientifica e tecnica”, “paesaggio e patrimonio storico artistico”: con queste quattro definizioni si abbraccia un orizzonte che va dalla cultura scientifica e tecnologica a quella umanistica; inoltre, con il termine “patrimonio storico artistico”, viene compresa non solo l’emergenza storico-artistica, il capolavoro, ma quell’insieme complesso e variegato di tracce culturali, artistiche e non, che ci permettono di leggere un determinato momento storico; infine, quando si parla di “paesaggio”, si punta l’attenzione non solo sull’opera in sé, ma sul suo contesto geografico e storico, su quella stratificazione millenaria di interventi antropici, depositatisi entro un ambiente naturale, che è così caratteristica del territorio italiano, ne determina il fascino e lo fa essere letteralmente disseminato di bellezza – un esempio: non ci sarebbe il Rinascimento toscano se non ci fossero le colline del Chianti o il Pratomagno, con i loro cipressi, le vigne e gli ulivi.
Ora riflettiamo sui verbi: “tutelare”, quindi conservare, mettere in sicurezza, preservare dal degrado e, se necessario, restaurare, un patrimonio che, anche se privato, è “della Nazione”; ma anche “promuovere”, quindi far sì che… la Culturale possa esistere. E in tutto ciò l’amministrazione locale ha una responsabilità diretta.
Il Museo complesso
Detto questo, la domanda successiva è: come si costruisce questo processo che la Cultura è?
Esistono evidentemente una pluralità di realtà; da quelle pubbliche – musei, biblioteche, archivi, teatri… – a quelle private e dell’associazionismo. Partiamo dalle prime, dai musei, su cui si concentrano le mie riflessioni, per i quali piace citare la definizione dell’ICOM (l’International Council of Museums), non tanto quella vigente, del 2007, ma quella proposta nel 2019 e in fase di approvazione:
I musei sono spazi democratizzati, inclusivi e polifonici per il dialogo critico sul passato e sul futuro. Riconoscendo e affrontando i conflitti e le sfide del presente, conservano reperti ed esemplari e li custodiscono per la società; salvaguardano una memoria diversificata per le generazioni future; garantiscono pari diritti e pari accesso al patrimonio per tutti. I musei non hanno scopo di lucro. Sono partecipativi e trasparenti e lavorano in collaborazione attiva con e per le diverse comunità per raccogliere, conservare, ricercare, interpretare, esporre e migliorare la comprensione del mondo, puntando a contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all’uguaglianza globale e al benessere planetario.
Ogni parola ha un peso enorme, in questa definizione, e un’enorme portata innovativa. Qui basti sottolineare la forte connotazione sociale, di crescita democratica e collettiva, e la concezione complessa di “museo” che essa sottende: un’istituzione che non ha solo un ruolo culturale, già per se stesso complesso – articolato in conservazione e tutela del patrimonio, ricerca e studio, diffusione delle conoscenze – ma anche un ruolo “civile”. Proprio attraverso il ruolo culturale che svolge, il museo si pone come attore imprescindibile per l’educazione e la formazione alla cittadinanza attiva e contribuisce, in tal modo, a far nascere un sentimento di appartenenza verso il territorio in cui si vive o da cui si proviene (citazione tratta dalla definizione di “museo” dell’enciclopedia Treccani).
10, 100, 1000 musei a Pordenone
Ora, i musei civici pordenonesi hanno visto negli anni una progressiva riduzione del loro organico, in particolare dei ruoli apicali, direttore o conservatore, che sono fondamentali nell’imprimere alle istituzioni stesse una linea di indirizzo. L’attività di queste istituzioni si è quindi depauperata, mentre l’attenzione dell’amministrazione si è concentrata su “eventi” che rispondono alla logica dei risultati immediati e monetizzabili – quanti visitatori, quanti biglietti, quanta attenzione dei media… – ma lasciano ben poco e costano molto.
Prima di tutto c’è bisogno quindi di ricreare questo organico, di dotare i musei di personale e di risorse che permettano loro di svolgere quel ruolo complesso di cui si è detto.
Secondo: le collezioni civiche pordenonesi sono un patrimonio cospicuo, un patrimonio “nostro”, che però giace per una parte consistente nei depositi e addirittura ha subito, negli anni, gravi perdite. È quindi necessario procedere alla catalogazione sistematica delle collezioni e alla loro digitalizzazione, prevista anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Fatto questo, sarà possibile valorizzare le collezioni cittadine che non trovano ancora modo di essere esposte in modo permanente al pubblico, in particolare la collezione delle ceramiche Galvani, che rappresenta un tassello importante della storia produttiva di Pordenone; le opere del XIX e XX secolo, tra cui il corpus di opere dell’artista pordenonese Michelangelo Grigoletti; la collezione Ruini – Zacchi e in generale le opere del ‘900. Ma, a tale scopo, va anche ripensata la destinazione degli spazi museali cittadini, in modo tale da prevedere una sede per l’allestimento permanente del patrimonio moderno e contemporaneo, nonché delle testimonianze legate alla storia economica e produttiva della città.
Pordenone ha avuto un significativo passato industriale, tra cartiere, ceramica e tessile – pensiamo a una figura come quella di Enrico Galvani –; ha tuttora una vocazione industriale non da poco, che nel recente passato ha visto coinvolti, nei settori del design e della grafica, nomi quali quelli di Harry Bertoja, Luigi Molinis, Luigi de Bellis… Non sarebbe bello che questo insieme di esperienze e conoscenze trovasse casa, istituendo quindi, anche come articolazione di uno degli altri musei, uno spazio per l’archeologia industriale e la storia del design e della grafica?
Questa osservazione ne porta con sé un’altra, che rimanda a quella concezione di paesaggio di cui si diceva: l’identità di città industriale di Pordenone è nata grazie alle caratteristiche del suo territorio, in particolare all’abbondanza di acqua, alla presenza di quelle rogge di cui lo sviluppo urbanistico indiscriminato degli anni ‘50 e ‘60 ha fatto perdere traccia. Riportarle alla luce probabilmente non è possibile, o è possibile solo parzialmente, ma ripensare al sistema dei corsi d’acqua cittadini, alla sua “spina” portante che è il Noncello, e farlo essere fulcro di un ecomuseo, evoluzione del museo delle scienze, dedicato allo studio dell’ecosistema ripariale, questo è possibile.
Abbiamo, alle porte del centro storico, nel cuore della città, un’eccezionale area verde, che va non solo resa fruibile con percorsi ciclabili e pedonali che la collegano ad altre zone della città, come già si sta facendo, ma studiata e tutelata anche da interventi di riordino eccessivamente invasivi. In altri termini: ben venga il sentiero delle Operaie ma, appunto, che resti un sentiero e non un’autostrada!
Uno spazio per noi, uno spazio per l’arte contemporanea
Una comunità vitale non può non avere un’attenzione particolare all’arte – e con arte intendo ogni forma di creatività, cinema, musica, letteratura, arte visiva… – contemporanea. Perché l’arte contemporanea è un qualcosa in più dell’arte del passato, riflette il nostro tempo, è l’arte dei nostri giorni, l’arte che, bene o male che sia, parla di noi, del mondo in cui viviamo.
Come ben sappiamo, Villa Galvani era stata ristrutturata e ampliata per ospitare la galleria d’arte moderna e contemporanea intitolata ad Armando Pizzinato, destinata a mostre temporanee, che ha faticato a portare avanti la sua attività ed è infine naufragata, essendo venute a mancare una direzione e una progettazione unitarie a monte.
Lo spazio della villa è oggi occupato dal PAFF, istituzione dedicata al fumetto, che rappresenta un aspetto importante della realtà culturale cittadina, e proprio della sua vitalità e creatività contemporanee. Non è l’unico, però! Arte visiva, ricerca musicale, sperimentazione teatrale faticano a trovare spazi e occasioni di espressione e spesso gli artisti che vogliono continuare a essere tali devono andarsene. Ce lo ha raccontato Teho Teardo, musicista ormai celebre, pordenonese d’origine ma romano d’elezione.
Inevitabile – si dirà – in una realtà di provincia come Pordenone, che non può pretendere di diventare centro d’attrazione internazionale. In realtà però Pordenone è già, in alcuni ambiti, centro di levatura internazionale: vedi le giornate del Cinema Muto, nate da un gruppo di appassionati e divenute un appuntamento imperdibile per i cultori del settore.
Questo per dire da un lato che, individuando una proposta che abbia una sua specifica identità, magari con radici ben piantate nel territorio e con solide fondamenta culturali, si può uscire da un orizzonte locale. Ma anche che quell’“orizzonte locale” non può essere uno spazio vuoto e, perché diventi terreno fertile, va alimentato con una politica di sostegno alla ricerca contemporanea, in tutti i settori.
Ben venga il PAFF quindi, ma ci vuole anche un nuovo PARCO, con una direzione autonoma e risorse che permettano di avviare una programmazione ciclica, almeno triennale, che non si esaurisca nell’evento e possa invece puntare sulla continuità. Una programmazione che può essere pensata a più livelli, da quello di esposizioni temporanee di richiamo almeno regionale o nazionale, magari basate su contatti e scambi con istituzioni di pari livello, a mostre più strettamente legate al panorama locale.
Non si tratta però solo di mettere a disposizione degli spazi, ma di attivare politiche proattive a sostegno della creatività del territorio, oggi più che mai, visto la stasi imposta dalla pandemia, che ha colpito particolarmente il settore culturale. Come? Per esempio implementando in modo continuo, con acquisizioni mirate, le collezioni pubbliche; promuovendo la creazione di opere prime in ambito letterario, teatrale e musicale; sostenendo concorsi, premi, realizzazioni destinate agli spazi pubblici… – e non serve andare lontano per trovare un buon esempio: il premio annuale In Sesto, che il comune di San Vito al Tagliamento ha istituito per l’acquisizione di un’opera d’arte contemporanea da collocare in spazi pubblici, scelta attraverso la votazione da parte dei cittadini.
Ottimizzare gli sforzi
Immagino che molti si chiedano: sì ma tutti questi musei e spazi espositivi chi li paga? Non sono troppi, per una città di poco più di 50.000 abitanti come Pordenone?
Sì, finché continuiamo a concepire il museo come uno spazio semplicemente “conservativo”, destinato alla fruizione passiva del proprio patrimonio.
No, se un museo viene immaginato come un “museo complesso”, fulcro di molteplici attività che, oltre alla conservazione e alla tutela, comprendono anche la ricerca – per esempio raccogliendo sistematicamente e promuovendo tesi di laurea, contributi, studi – la divulgazione e l’educazione, attraverso attività che avvicinino in modo continuo e sistematico, direi addirittura “fidelizzino”, la cittadinanza ai musei e viceversa: progetti di intervento nelle / con le scuole, da coinvolgere non solo come fruitori ma anche in laboratori e attività partecipate (per esempio attraverso i PCTO, ossia le esperienze di alternanza scuola-lavoro, occasione di collaborazione con gli Istituti superiori del territorio); cicli di conferenze, incontri, laboratori, eventi culturali collegati alle esposizioni temporanee o permanenti, diffusi in modo costante anche attraverso il web; insomma tutto un insieme di strategie, diversificate a seconda del target, non solo di fruizione ma anche di progettazione partecipata alle attività museali – tema che si innesta su quello della “partecipazione”, rispetto al quale, ne Il Bene Comune, è emersa la proposta di un organo permanente, rappresentativo delle realtà e delle figure culturalmente attive nel territorio, che interagisca in modo stabile con l’assessorato alla cultura. Ma se ne parlerà in altra occasione.
La concezione di “museo complesso” vale soprattutto in una realtà come la nostra, che evidentemente non ha un patrimonio tale da richiamare un flusso turistico internazionale – non abbiamo gli Uffizi o le Gallerie dell’Accademia, per intenderci –; dove il patrimonio è radicato nella storia del territorio e in funzione di quel territorio acquista senso. Dove, in altri termini, i fruitori dei musei sono, dovrebbero essere, in primis i cittadini stessi, non tanto i turisti.
Inoltre, per ottimizzare gli sforzi, penso sarebbe utile immaginare i musei civici come un polo museale unitario, che preveda una figura direttiva unica, con spiccate competenze manageriali e capacità di coordinamento, che si affianchi ai conservatori, responsabili di ciascuno delle istituzioni civiche, perché solo l’integrazione dei due aspetti, quello gestionale e quello scientifico, può far fronte alla complessità attuale. In particolare, una visione integrata e unitaria dei musei dovrebbe prevedere una strategia unitaria di comunicazione, un polo informativo unico, salva restando la specificità di ogni istituzione.
Museo diffuso
Infine, perché non immaginare che il polo museale di Pordenone non abbia anche un ruolo propulsore per l’intero territorio provinciale?
Mi piace pensare a una sorta di hub, dove chi entra – realmente o in forma digitale – possa trovare informazioni sia sui musei e in genere su tutte le realtà culturali della città – non dimentichiamo il Museo diocesano, la Galleria Sagittaria… – sia sulle realtà museali e culturali presenti sul territorio provinciale e anche oltre; dove si possano suggerire percorsi di vario tipo, sia tematici che geografici, ideando per esempio itinerari, magari ciclabili, di collegamento tra i poli di interesse presenti in provincia. Si tratta di creare una sorta di “museo diffuso”, policentrico e irradiato rispetto a Pordenone stessa, mettendo in rete le diverse realtà del territorio, con un effetto di riverbero della comunicazione – vado in un museo e trovo informazioni anche su un altro – e di ottimizzazione delle risorse spese – un unico sito web, un unico materiale informativo, un unico ufficio comunicazione… Niente di nuovo, anzi: qualcosa di simile è già stato tentato a Pordenone – ricordo un’utile brochure sulle istituzioni culturali cittadine –, ma bisogna insistere e dotare simili progetti di risorse che permettano loro di consolidarsi nel tempo.
Ancora una volta è la prospettiva di lunga durata che è mancata, la sola che può scardinare la logica dell’“evento”, di forte impatto mediatico ma fine a se stesso, e creare Cultura nel senso in cui si diceva, innescando e alimentando il movimento lento del pensiero.
Utopia? Forse. Ma non c’è stato momento migliore di questo – una svolta epocale, se ci pensiamo, tra pandemia, riscaldamento globale, disuguaglianza sociale, flussi migratori… – per provare a realizzarla, l’utopia.