Blognotes 08
Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

Articolo presente in

Dampness and dust

di Giovanni De Roia

Fotografa e graphic designer, concentra la sua ricerca artistica su realtà, persone e territori marginali, alla scoperta delle anomalie che si nascondono nell’ordinario.

Dampness and Dust” è un’opera work in progress condotta in compagnia di Pietro Peressutti, una raccolta di incontri e di fotografie realizzate su pellicola di medio formato che un giorno diventeranno un libro stampato.

I caduvei […] non solo esigevano di

essere pagati per lasciarsi fotografare, ma mi obbligavano a fotografarli perché io li pagassi; non passava giorno che una qualche donna non mi si presentasse particolarmente agghindata e non m’imponesse, che io volessi o no, di renderle l’omaggio di uno scatto di obiettivo seguito da qualche milréis. Amministratore delle mie bobine, mi limitavo spesso a una finta e pagavo”.¹

Lévi-Strauss, attraverso questa forma di scambio simbolico vissuto nel 1934 in una piccola tribù dell’America settentrionale, affida implicitamente un significato sociale alla Fotografia; esso non è dato dalla finalità iconografica del media (che egli peraltro rifiuta a priori) quanto dallo sviluppo relazionale che l’atto del fotografare innesca. In questo senso, pur non indagando su popolazioni o territori esotici, Valentina Iaccarino veste i panni di un’etnografa: annota e compila un diario di viaggio attraverso la mediazione della sua camera “.

Lo strumento fotografico le consente di attivare dinamiche di relazione con luoghi che attraversa e riattraversa, con le persone e le loro storie; come dire che la macchina fotografica è lì per favorire un rapporto dialogico con realtà alle quali la fotografa non appartiene ma con le quali sente la necessità di scambiare, ancor prima di affidare all’immagine il compito di veicolarne i contenuti e di codificarli. La sua è una visione potenziale e forse per questo sceglie di lavorare con i supporti analogici; dilatando come si faceva nel secolo scorso il tempo che intercorre tra l’apertura dell’otturatore e lo svelamento del risultato fotografico, il gesto assume un’autonomia propria, libero dall’aspettativa del fotografo e del soggetto fotografato, persona o paesaggio che sia.

Pensando alla ricerca di Valentina Iaccarino e al suo carattere liminare, torna alla mente Luzzara: nel 1993 Linea di Confine commissiona a Stephen Shore un lavoro sui territori dell’Oltrepò. Cosa spinge il fotografo ad usare in quell’occasione il bianconero che aveva deciso di abbandonare più di vent’anni prima? Forse l’idea che il reportage che Paul Strand realizzò con Cesare Zavattini negli stessi luoghi “non aveva bisogno di essere aggiornato perché il tipo di persone e di paesaggi che aveva fotografato a quel tempo continuavano a esistere più o meno allo stesso modo, quarant’anni dopo”.²

Mentre tutto intorno era cambiato.³ Nella Fotografia, linguaggio e tecnica camminano insieme e talvolta la tecnica introduce rivoluzioni addirittura capaci di mutare la natura ontologica del linguaggio.

Eppure, i due secoli di storia della Fotografia restituiscono un’idea liquida di questo rapporto: quello che c’è non viene sostituito all’arrivo del nuovo, ma integrato ad esso, al fine di ampliare le variabili espressive del linguaggio stesso e i significati che le stesse sottendono.

In questo recinto concettuale si colloca “Dampness and Dust”, la ricerca in divenire che la fotografa sta conducendo da quasi due anni nelle Valli del Natisone, terra di confine tra Friuli e Slovenia; talmente di confine da essere anche chiamata, con una specie di ossimoro, Slavia friulana. Geograficamente si estende tra Cividale del Friuli e il Monte Matajur verso nord e anche oltre, nei territori amministrati dalla Repubblica di Slovenia fino a Kobarid, a noi più familiare con il nome di Caporetto.

Lì, per lunghi tratti, la natura ha ripreso lentamente i suoi spazi, da quando l’emigrazione di massa degli Anni Sessanta ha dissolto il tessuto sociale ed economico delle Valli.

Ora, forse attratti dal carattere selvaggio di quei luoghi, alcuni ci arrivano da fuori e ci rimangono per stare lontani.

Succede così che le feste frequentate dai giovani siano una strana mescolanza di riti popolari di matrice slava, concerti punk in due accordi e rave ipnotici, sempre accompagnate dal suono gioiosamente malinconico della fisarmonica che evoca il rito del Pust, il carnevale pagano che si tramanda intatto da generazioni.

Lo sguardo straight di Valentina Iaccarino è rivolto a questi paradossi, ai Benecjani⁴ nativi e ai nuovi arrivati che li mettono in scena; alle tracce che la storia, lontana e vicina, ha scritto in quei luoghi e alle storie di coloro che ci vivono accanto.

Le immagini di “Dampness and Dust” rappresentano una sezione trasversale che mette in luce le stratificazioni fisiche e umane di quelle terre, quei segni reali e immateriali che insieme restituiscono una testimonianza in cui tutto oscilla tra l’ordinario e lo straordinario, in cui la polvere secca che si deposita sulle superfici resiste all’aria satura di umidità.

1. Claude Lévi-Strauss, Tristi tropici (Tristes tropiques,1955), trad. di B. Garufi, Il Saggiatore, Milano 1960.

2. Da un’intervista a Stephen Shore in Stephen Shore in viaggio in Italia, Internazionale, 20 giugno 2016.

3. Oltre a Stephen Shore (Stephen Shore, Luzzara. 1993, Stanley/Barker, London 2016) e a partire dal lavoro di Strand (Paul Strand, Cesare Zavattini, Un paese, Einaudi, Torino 1955), molti fotografi sono tornati a Luzzara per documentare le trasformazioni del paese e della sua gente, tra cui Gianni Berengo Gardin, Luigi Ghirri e Olivo Barbieri.

4. Benecja, Slavia Friulana e Valli del Natisone sono sinonimi che indicano la stessa area geografico-culturale.