“Ce l’ha nel DNA”, ecco una frase fatta che come tante altre non ha un senso logico. Chi sa infatti esattamente che cosa c’è nel suo DNA, e cosa hanno gli altri nel loro? Alcune informazioni di carattere generale però esistono, sono ormai acquisite e molto significative.
Il DNA di tutti gli esseri viventi deriva dall’evoluzione delle prime cellule comparse circa 3,7 miliardi di anni fa, ed è sostanzialmente identico per tutti i regni: animali, vegetali, fungini e microbici. Con le piante abbiamo in comune il 50% dei geni, con gli animali genericamente intesi il 70%, con i primati il 98%, per arrivare al 99% con il Bonobo. Ecco dunque che possiamo dire di “avere nel DNA” molto in comune con le altre specie.
Per quanto riguarda gli esseri umani, gli studi di genetica a partire dagli anni 70 del secolo scorso hanno chiarito che siamo un’unica specie e che all’interno di essa non esistono le razze.
E’ stato possibile infatti determinare che la variazione genetica che si ritrova tra popolazioni diverse è molto piccola, al più il 3 – 5% di tutta la variazione esistente nell’uomo, mentre quella che si trova fra gli individui in ogni popolazione, cioè il residuo 90%, è molto più importante.
(Una parte importante del merito di queste ricerche va attribuito al genetista italiano Luca Cavalli – Sforza e al gruppo di Stanford in California).
E’ utile a questo punto fare ricorso all’etimologia che chiarisce come il termine razza derivi dal francese antico “haraz”, allevamento di stalloni. Sono stati soprattutto gli allevatori di cavalli che hanno tentato di creare una razza, cioè un ceppo “puro” di cavalli, incrociando animali strettamente imparentati, nell’illusione di poter ottenere prestazioni eccezionali. Ma la gran maggioranza dei caratteri ereditari, come i gruppi sanguigni, si mantengono variabili anche dopo dieci o venti generazioni di incroci fra fratello e sorella o genitori – figli.
Un simile tentativo è improponibile nella specie umana, pena una diminuzione drastica delle difese immunitarie ed un accumularsi di tare genetiche.
Un altro tassello importante del nostro quadro genetico è stata la scoperta che abbiamo tutti un 2% circa di DNA neanderthaliano. La ragione è che abbiamo convissuto per un periodo di migliaia di anni con i Neanderthal, ci siamo incrociati con loro e poi li abbiamo completamente sostituiti, un eufemismo per non dire che probabilmente li abbiamo sterminati!
Portiamo traccia di tutto questo e possiamo verificarlo con un test del nostro DNA.
Il test si riferisce a quel 1% di DNA che è nostro specifico come esseri umani e si confronta con una banca dati prevalentemente di origine europea, perciò con l’aumentare dei dati che saranno via via a disposizione l’accuratezza dei risultati potrà migliorare.
Questo test che utilizza la saliva ci permette almeno in parte di conoscere le nostre origini e magari di confermare ricostruzioni ipotetiche del nostro albero genealogico. Chi scrive ha eseguito un test del DNA alcuni anni fa e lo ha regalato ad altri membri della famiglia, ricavandone alcune conferme e parziali sorprese… Oltre ad aver avuto conferma della presenza del 2% di DNA neanderthaliano, nonché della presenza di un 75% di DNA definito italiano, la sorpresa è stata la presenza di un 12% di DNA sardo, di un 7% di DNA iberico, più piccolissime percentuali residue che vanno dalle isole Britanniche ai Balcani.
Ovviamente so di aver avuto un nonno sardo, ma non immaginavo che il DNA sardo fosse distinguibile da quello italiano! E’ bastato apprendere che la Sardegna è un esempio di isolamento genetico unico nel Mediterraneo per capire la ragione di questa distinzione.
Per la penisola iberica, ero a conoscenza del fatto che i miei avi siciliani erano in parte di origine maltese, e che Malta era un fondamentale punto di passaggio tra penisola iberica e Mediterraneo orientale, e lì si erano probabilmente fermati degli antenati…
I Balcani erano facilmente spiegabili con l’altra parte dell’ascendenza siciliana, che proveniva da Palazzo Adriano nella piana degli Albanesi, ma la cosa curiosa era che io posseggo una piccolissima “dose” di quel DNA, mentre mio fratello ne ha il 7%. Una dimostrazione del fatto che le differenze che esistono tra parenti stretti come i fratelli sono dovute ad una ricombinazione genetica dei caratteri del tutto casuale.
Ovviamente la parte nord – europea derivava dalla nonna di Pavia attraverso le invasioni longobarde! Ecco servito un bel cocktail di cui sono estremamente orgogliosa, e che unisce le ricerche storiche alla genetica.
Se è vero che l’Italia è una piattaforma posta nel centro del Mediterraneo, come si dice in geopolitica, è proprio per questo che è stata un luogo d’incroci, d’incontri e di scambi genetici e culturali. Questa “contaminazione” è stata una grande fortuna e grazie a essa abbiamo avuto un notevole sviluppo culturale e tecnico.
Ma questa caratteristica non è solo italiana, e in base agli studi di genetica sulle ossa antiche (la paleogenomica) possiamo dire che tutte le popolazioni sono il risultato di migrazioni e stratificazioni che si sono avvicendate nel tempo e nei luoghi.
E’ per questo che un test del DNA può dare delle grandi sorprese, come dimostra la storia che segue, raccontata dai giornali pochi giorni fa: un neonazista e suprematista bianco statunitense ha fatto il test del DNA dopo la morte della madre e di un figlio, e ha scoperto di avere una parte di geni ebraici. In seguito a questa notizia, ha rinnegato il suo passato, ha cercato un rabbino e sta seguendo l’iter per la conversione all’Ebraismo.
Colpisce il coraggio di cambiare da parte di una persona sicura che gli ebrei fossero «la radice di tutti i mali», e l’esempio di come anche i pregiudizi più radicati possono dissolversi di fronte ad una rivelazione inaspettata, magari giunta nel momento adatto…
Quel che importa è che la genetica è una scienza, e perciò si basa sui fatti e non sulle ideologie, né quelle che sostenevano che “tutto è ambiente”, né quelle che sostenevano che “tutto è nei geni delle diverse razze”. Ed è così che la Storia, che non è una scienza perché non procede sulla base di esperimenti, ci insegna la sua lezione più grande ricordandoci i tragici errori del passato.
“Sono vasto, contengo moltitudini”. Walt Whitman.