La riqualificazione delle strutture dell’Ex Fiera di Pordenone era attesa da tempo da atleti e società che usavano ed usano il complesso edilizio per le attività dello sport, ma quando essa diventa un ambizioso progetto che stravolge l’esistente e determina nuovi problemi, evidentemente deve fermarsi e interrogarsi sulla validità delle scelte e sulle possibili rimodulazioni migliorative.
Certamente nessuno può essere detentore della verità assoluta, né che scrive né chi governa la città, ma accettare compromessi non è segno di cedimento ma di buon senso, se il fine di ogni amministrazione è rispondere con efficacia alle esigenze della cittadinanza. Qualcuno potrebbe dire che nessun progetto accontenta tutti – è vero – e che ci sarà sempre una parte dei cittadini insoddisfatta. Tuttavia, non può nemmeno accadere che una scelta amministrativa diventi inappellabile e dunque una bandiera da non ammainare.
Chiunque passeggi costeggiando l’ex fiera non potrà non notare la presenza di tanti ragazzi impegnati a giocare sui campi di basket visibili dalla strada. In certe ore i tre campi sono occupati tutti insieme, e ragazzi e adulti, moltissimi stranieri, giocano con entusiasmo e tranquillità. Forse non c’è in tutta Pordenone un altro spazio pubblico in cui il gioco permette a italiani e non, diversi per cultura, provenienza, certo sociale, di incontrarsi, unirsi, socializzare, relazionarsi, conoscersi meglio.
Ora l’accesso a quegli spazi di socializzazione è libero, non inibito da divieti o controlli, e non si sente di interventi di polizia per risse o altro, mentre non si può dire la stessa cosa per il centro della città.
Questa occasione di incontro, questa valvola sociale di integrazione è garantita dal nuovo progetto? Stando alle prospettive future lo spostamento verticale dei campetti sarà un deterrente di non poco conto e la successiva gestione controllata degli spazi e forse a pagamento determinerà la sparizione completa di un fenomeno integrativo molto positivo per la sicurezza sociale della cittadinanza.
Veniamo alla sparizione dei tigli. Sembra indispensabile per la realizzazione completa del progetto che rimodula gli spazi in modo nuovo e quindi necessità di una piena libertà di movimento. “Il verde sarà compensato dalla piantumazione di altre piante di alto fusto” è la difesa dell’abbattimento.
Ma ha un senso tagliare alberi quasi secolari per poi rimpiazzarli con altri, semplicemente per cambiare il paesaggio e piegarlo ad esigenze provvisorie e limitate? E chi può giurare sul fatto che cresceranno sani e forti come i primi? In tempi nei quali la natura ci sta mandando segnali molto chiari di stanchezza e rivolta, tempi nei quali tanti alberi vengono schiantati da temporali sempre più violenti, può essere di buon senso abbattere piante che hanno dimostrato di resistere bene alle intemperie, e sostituirle con altre che non possono dare le stesse garanzie?
E quando qualcun altro, in un futuro prossimo, avrà un progetto diverso sullo stesso luogo, di nuovo sposteremo gli alberi come pedine di una scacchiera?
Oggi più che mai le autorità amministrative e politiche dovrebbero tener presente che la natura appartiene non solo alle generazioni del presente ma anche a quelle future e che ogni scelta, da questo delicato momento storico in poi, deve tenerne conto. Le amministrazioni passano ma le loro scelte rimangono, e se hanno esiti negativi, questi ricadranno sulla cittadinanza.
Se siamo avviati, e lo siamo senza dubbio, ad un progressivo invecchiamento della popolazione, a chi servirà questo monumento allo sport? Per quanto da adeguare e recuperare, la struttura esistente è a misura d’uomo, di cittadino di oggi e di quello di domani. Il megaprogetto sembra indirizzato ad un utente futuro sempre meno numeroso.
Veniamo al traffico e alla circolazione. Finora i livelli di intasamento della zona sono stati piuttosto bassi, ma la concomitante realizzazione di diversi fabbricati a poca distanza (vedi quello appena cantierato nell’ex panificio di via Molinari e quello di fronte all’istituto Mattiussi di Via Fontane) potrebbe creare anche qui quello che sta accadendo in largo S. Giovanni, nella rotonda degli ex Magazzini dei Lavoratori e sul ponte del Meduno: una eccessiva concentrazione di traffico che non trova vie di sbocco alternative. Via Interna è meta di arrivo e ripartenza di studenti e la mattina è facile rimanere imbottigliati nelle lunghe file di flusso e deflusso di auto e autobus. Ulteriori operazioni edilizie che richiamino folla non potranno che allargare a tutta la giornata i problemi del mattino.
Veniamo poi al possibile contrasto tra interessi popolari e politici, tra il diritto di governare e il dovere di farlo in nome e per conto della volontà popolare. Quando si governa lo si fa per tutti, per i propri elettori e per quanti non hanno votato o hanno votato contro.
Alle ultime elezioni amministrative di ottobre il sindaco attuale ha ottenuto 14.755 preferenze, ovvero il 65,38% dei voti, ma hanno votato solo 23.229 cittadini su 42.195 aventi diritto di voto. Poiché, dunque, la percentuale di consenso, anche se maggioritaria, appare piuttosto modesta in rapporto non solo al numero degli aventi diritto di voto ma alla popolazione intera di Pordenone, il buon senso dovrebbe spingere a verificare se un provvedimento, tanto importante da impattare sul presente e sul futuro della cittadinanza, incontri veramente un consenso significativo e risponda ai bisogni di chi abita la città. I fatti recenti che hanno visto la mobilitazione trasversale di migliaia di cittadini pordenonesi, di tanti che hanno votato anche per la vigente amministrazione, dimostrano al contrario un dissenso che non può essere ignorato.
Si interpreta la volontà popolare anche quando la si ignora o si agisce contro? E veniamo infine al costo di questa operazione passata da 12,5 milioni a oltre 20 nello spazio di solo un anno.
Certamente un progetto ambizioso oggi conosciuto come Polo Young non può che essere molto costoso ma serve veramente alla collettività? Se i maggiori finanziamenti vengono dal PNRR e si rischia di perderli per i ritardi ostruzionistici di chi è contrario all’opera, allora viene spontaneo pensare che il progetto esiste perché esistono i fondi, l’urgenza esecutiva non nasce dalla necessità della struttura ma dal rischio di perdere il finanziamento. Cioè questo Polo Young è legato solo alla disponibilità di fondi? Senza, non se ne sentirebbe la mancanza?
Se poi la maggiore copertura viene dal comune stesso allora a fronte di tante diverse esigenze cittadine sarebbe naturale interrogarsi sulle priorità da valutare e decidere nel rispetto proprio della rappresentanza popolare.
Fa sorridere il fatto che, messe da parte le proteste popolari, siano stati gli alberi stesi a doversi difendere da soli, con il diritto a sopravvivere per età nobile e veneranda.
Ma rattrista vedere come a seconda del luogo di potere questi stessi diritti possano perdere peso e rispetto. La decisione della Sovrintendenza speciale (speciale!?) per il PNRR conferma l’abbattimento delle piante condizionandolo al rimpiazzamento di un pari numero di piante ad altro fusto (ma di fatto conferma l’idea che spendere i soldi del PNRR è più importante di ogni altra valutazione, anche più importante del diritto degli alberi e di quello dei cittadini.
Appare sempre più evidente che il progetto è ormai diventato una bandiera, portarlo avanti è questione di faccia e di prestigio, mentre ridimensionarlo, spostar lo in altro loco verrebbe letto come una sconfitta, non una decisione di buon senso. Le recenti dimissioni dell’assessore comunale all’ambiente Monica Cairoli dimostano che la sensibilità ambientale è trasversale, è un bene da valorizzare e rispettare e che il potere di fare le cose non è di per sè certezza di fare le cose giuste, se manca la condivisione, l’ascolto degli altri.
Così in una città dove la raccolta differenziata comincia a diventare un problema macchinoso, dove centinaia di appartamenti sono sfitti, ma vengono costruiti nuovi edifici destinati ad rimanere semivuoti, dove il diritto dell’auto prevale su quello del pedone costretto a correre per attraversare la strada, dove gli interessi degli esercizi commerciali del centro prevalgono su qualsiasi logica civile o culturale (vedi l’affollamento dei bar, la crescita della movida), avremo anche un megacomplesso sportivo, se la forza prevale sulla ragione. Che desiderare di più?