L’ambito disciplinare della conservazione e del restauro è recente rispetto al patrimonio archeologico che deve trattare. Si basa su un approccio olistico all’oggetto: la sua storia, la sua composizione, il suo ambiente, il suo significato ecc.. Il conservatore-restauratore cerca, pur preservando la materia, di conservare il valore patrimoniale e informativo del suo soggetto di studio.
La conservazione-restauro obbedisce a una deontologia fondata sul rispetto dell’integrità degli oggetti patrimoniali, la condivisione delle conoscenze e l’obiettività scientifica. Spesso associata allo studio sperimentale, per costruire i suoi protocolli di lavoro la conservazione-restauro si nutre di discipline connesse: l’archeologia, la storia dell’arte, la chimica-fisica, l’artigianato o di discipline più distanti: la medicina, la filosofia, l’ingegneria.
Collaborando con l’archeologia preventiva e i musei da quasi 30 anni, il laboratorio Arc’Antique si appoggia su un team di 8 conservatori-restauratori, 2 fotografi-radiologi e 2 ingegneri. Le specialità coprono la maggioranza del campo archeologico terrestre e sottomarino: metalli, ceramica, vetro e organici.
L’oggetto archeologico
Gli oggetti archeologici, in seguito alle loro storie materiali, costituiscono di per sé una specialità in conservazione-restauro. Il sotterramento può provocare una trasformazione profonda e irreversibile dei materiali, della loro forma e del loro stato. Questo sotterramento avrà effetti che variano in funzione della composizione iniziale degli oggetti, della loro fragilità intrinseca o delle fragilità derivanti dal loro uso o abbandono.
Questo sotterramento può modificare l’aspetto dell’oggetto, la sua struttura e il suo colore: la trasparenza di un vetro o la brillantezza di una superficie metallica. Può provocare la scomparsa di certi elementi spesso in materia organica e delle modifiche della sua forma: il manico di legno di un’ascia, la stoffa sulla quale era agganciata una fibula, la frammentazione di una ceramica.
Il ritrovamento e lo studio degli oggetti archeologici hanno un impatto anche sulla loro conservazione. Spesso di natura instabile la materia trasformata dal sotterramento reagisce al nuovo ambiente provocando nuovi fenomeni di degradazione. La conservazione-restauro chiamata allora conservazione curativa cercherà di bloccare o limitare gli effetti di questa trasformazione.
Dallo studio alla diffusione
Basata sull’osservazione e la sintesi delle informazioni scientifiche, la prima fase del trattamento mira a capire meglio e valutare lo stato di conservazione dell’oggetto e le trasformazioni che ha subito. Questa osservazione si appoggia spesso su conoscenze archeologiche, su analisi della materia e sull’iconografia scientifica (raggi X o tomodensitometria). L’interpretazione di queste informazioni porta alla programmazione e all’organizzazione degli interventi che dipendono sempre dagli obiettivi e dai mezzi disponibili.
I diversi interventi eseguiti mirano quindi a:
– ridare leggibilità all’oggetto (misure di restauro);
– assicurare la stabilità della materia (misure curative);
– prevenire le future degradazioni (misure preventive).
Queste operazioni variano a seconda dei materiali costitutivi degli oggetti, del progetto di valorizzazione e del luogo futuro di conservazione. Tengono conto del livello attuale delle nostre conoscenze e degli interventi futuri che potrebbero essere programmati.
Jane Echinard
Responsabile del laboratorio Arc’Antique
Le parole nascoste
Da più di 20 anni il laboratorio Arc’Antique studia la corrosione del piombo e i metodi al fine di garantirne la conservazione.
Fra gli oggetti di questa natura o provenienti da collezioni patrimoniali o direttamente da scavi alcuni sono molto particolari: le defixiones. Dal verbo latino defigere “spingere verso il fondo”, queste lamine di piombo provenienti dalle culture greca e romana, sono incise con formule magiche di maledizione.
Queste formule, indirizzate a divinità ctonie, cioè sotterranee, sono incise sulla superficie del metallo e nascoste perché le lamine sono in seguito arrotolate o piegate. Talvolta, quasi per sottolineare l’intento di nuocere, sono trafitte da un chiodo prima di essere gettate in sepolture, fonti, pozzi..
Quando una tavoletta proveniente da uno scavo arriva al laboratorio il primo problema da affrontare è quello della sua spiegatura per facilitarne la lettura.
Contrariamente ai rotoli incisi in altri materiali come il papiro per esempio, questi sono difficilmente leggibili con tecniche come la tomografia perché il piombo è un metallo radiopaco.
Dopo il suo prolungato sotterramento nel suolo o nell’acqua, il piombo ha subito dei processi di corrosione più o meno gravi e, di conseguenza ha perso in parte o completamente le sue proprietà di duttilità e malleabilità diventando così relativamente fragile.
Il rotolo o il “pacchetto” di piombo viene aperto con cautela srotolando lentamente la lamina con l’ausilio di attrezzi in legno o in metallo. Talvolta lo stato di corrosione è tale che bisogna consolidarlo nello stesso tempo al fine di mantenere uniti i frammenti.
Dopo aver riportato alla luce la superficie interna sulla quale sono conservate generalmente le iscrizioni, si procede alla fase della pulitura, eseguita con microscopio binoculare associando metodi meccanici e chimici.
Se lo stato di conservazione lo permette avremo la sorpresa di vedere riapparire queste iscrizioni sotto i prodotti di corrosione. Possono essere molto sottili e ben ordinate oppure profonde e tracciate con impeto e poca padronanza. Talvolta nessuna traccia è incisa sulla superficie ma anche se è “liscia” non per questo è senza significato.
Per il restauratore evidenziare dei tracciati è una prova “astratta”. Il significato non è interpretato, bisogna soltanto seguire le indicazioni fornite dalla materia. A questo tadio non importa se il solco evidenziato sulla superficie è il frutto di un incidente, del caso o se è volontariamente voluto.
Il prossimo passaggio riguarda la comprensione dei segni.
Visto che la comprensione dei “testi” si basa su delle supposizioni, interviene allora l’epigrafista il quale dà senso alle parole, iscrivendole in un contesto storico e culturale.
Spesso non basta sapere il latino o il greco antico. Bisogna essere capaci di decifrare i caratteri incisi in corsivo, come farebbe un grafologo e anche potere studiare dei testi dove possono essere mescolati vari alfabeti.
Questi lavori permettono di classificare le defixiones in categorie: a carattere sportivo, amoroso, legale, economico ecc… Le espressioni impiegate sono spesso colorite o molto crudeli nei confronti degli avversari politici, dei rivali in amore… Offrono un’idea vivace della vita quotidiana dei nostri avi e dimostrano l’immutabilità della natura umana.
Infine certi testi custodiscono il loro mistero, incisi in una lingua sconosciuta (o inventata dal mago) e pieni di simboli magici di cui si è perso il significato. E forse è meglio non sapere.
Loretta Rossetti
Conservatrice-restauratrice
traduzione di Jacqueline Lemoine