Blognotes 08
Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

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Il mestiere del libraio di padre in figlio

di Mauro Danelli

Trasmettere il mestiere di libraio da padre a figlio…è ancora un percorso possibile?

In passato avveniva in modo naturale. Si pensi ai famosi Tarantola, una generazione di librai che da metà ottocento si è rinnovata fino ad oggi. E’ vero che alcune delle loro librerie hanno dovuto chiudere oppure passare la mano ad altri, soprattutto a gestori di librerie di catena, però qualcuna resiste ancora. Fino a quando? Riusciranno gli attuali Tarantola a trasmettere la loro passione ai propri eredi? La speranza è che ci riescano, però la cosa non appare tanto facile.

Il problema è legato soprattutto ad un mercato dominato dai grandi gruppi editoriali: Messaggerie Italiane, Mondadori, Feltrinelli, Giunti. Se a queste realtà si aggiungono le Librerie Coop ed altri protagonisti legati in qualche modo alla grande distribuzione vediamo coperto l’ottanta- ottantacinque per cento del mercato complessivo dei libri, considerando sia la loro produzione che la loro distribuzione. 

E allora possiamo domandarci quanto spazio rimanga alle librerie indipendenti. Quando parlo di trasmettere il mestiere di libraio mi riferisco appunto a questo tipo di libreria e cioè una realtà che permetta ad  un genitore di trasmettere in piena libertà ai propri eredi le competenze maturate nel corso della sua vita lavorativa.

Per quel che mi riguarda non ho mai nutrito un pensiero di questo genere. Ho sempre pensato fosse meglio per mio figlio seguire una strada diversa. Sicuramente ha influito l’idea che un figlio non debba necessariamente seguire le orme del padre, quanto piuttosto scegliere una propria strada in autonomia, diventando protagonista delle proprie scelte e padrone delle proprie conquiste. Però certamente ha influito anche la sensazione, via via sempre più precisa, che nulla avrebbe potuto invertire quel percorso di concentrazione che, partito a metà anni ottanta, ha avuto un fortissimo sviluppo negli anni novanta per poi proseguire senza soluzione di continuità. Un percorso che ha permesso ai grandi gruppi editoriali di occupare quasi tutti gli spazi possibili, restringendo sempre più quelli dei librai indipendenti. 

Questi a metà anni ottanta potevano detenere l’ottantacinque- novanta per cento del mercato…oggi lo vedono ridotto al quindici-sedici per cento. 

Abbiamo assistito progressivamente alla chiusura di centinaia di librerie. Questo fenomeno è accaduto un  po’ ovunque e non ha fatto eccezione la nostra città. Hanno chiuso librerie centenarie (facendo un rapido giro d’Italia possiamo citare la Italo Svevo di Trieste, la Draghi Randi di Padova, la Paravia di Torino, la Croce di Roma, la Guida di Napoli…): un patrimonio di grande importanza che il nostro paese ha potuto perdere in tutta tranquillità.

E allora…rispetto a questo mestiere quale futuro per i nostri figli? E’ una domanda che mi ha sempre accompagnato, portandomi a scegliere collaboratori non troppo giovani ai quali poter garantire una durata del ”mestiere” sufficiente rispetto alla loro età.

Occorreva uno schiarimento del panorama per permettere una nuova visione da proporre ad eventuali giovani continuatori dell’attività libraria.

Ci siamo arrivati? La situazione non è ancora abbastanza chiara.

Le-librerie-al-Segno-dal1978
Le librerie al Segno dal 1978

Probabilmente il futuro dei librai indipendenti sarà quello di gestire spazi non troppo grandi, con l’attenzione rivolta ad un pubblico meno ”generalista” rispetto ad oggi e con una serie di attività collaterali nuove e fidelizzanti. Occorrerà lavorare in questa direzione per offrire a qualche giovane possibilità concrete di riuscita.

C’è una scuola per librai a Roma. Può essere utile frequentarla? Io sono abbastanza dubbioso. Il corso annuale prevede sei mesi di teoria, tre mesi di stage presso una libreria di catena ed altri tre  presso una libreria indipendente. I sei mesi di teoria potranno sicuramente fornire utili conoscenze, utili ma non determinanti. Il tirocinio di tre mesi da una parte e tre dall’altra è assolutamente insufficiente. 

Mi permetto di dire che per diventare ”libraio vero” occorrono anni di lavoro e soprattutto in una libreria indipendente. Perché è possibile aver accumulato tante conoscenze teoriche e aver lavorato a lungo con i libri ma se poi si entra in una libreria di catena tutto rischia di essere smorzato da una realtà basata su standard predefiniti, su spazi solo parzialmente gestibili in autonomia, sul forte rischio di dover obbedire continuamente ad ordini esterni. In questo modo si corre il rischio di indossare gli abiti del commesso generico piuttosto che quelli del vero libraio, il quale deve avere una propria anima, sviluppare e proporre una propria esperienza, diventare nel tempo punto di riferimento per una comunità più o meno grande di persone. 

Quella di essere un commesso generico piuttosto che un vero libraio può essere una bella proposta da fare a un giovane?

Io cercherei di indicare una strada diversa, in continuità con quanto fin qui realizzato.

Naturalmente i tempi cambiano e occorre trovare soluzioni nuove. Anche i Tarantola sono passati dalle gerle ai carretti e alle bancarelle e infine alle librerie attuali. Passaggi non da poco, ma sempre coerenti rispetto ad uno spirito di qualità e professionalità, di proposta e crescita. E comunque sempre attenti alla dimensione imprenditoriale, al rischio in proprio, alla capacità di inventare continuamente, al bisogno di salvaguardare una missione culturale.

Sarà possibile restare fedeli a tutto ciò in questi tempi di cambiamenti velocissimi e turbolenti?

Occorrerà lottare contro il fenomeno presentato in modo chiarissimo dalla seguente affermazione: ”Riduzione del peso degli editori di cultura piccoli e medi, riduzione dei librai di proposta sono andate di pari passo nel corso dell’ultimo decennio, al punto che la sopravvivenza degli uni e degli altri è in larga misura legata a una corsa contro il tempo resa drammatica dal fatto che tutto il sistema distributivo a quanto pare gioca contro”. 

Sono parole di Alfredo Salsano, contenute nella sua prefazione al volume di André Schiffrin ”Editoria senza editori” uscito in edizione italiana a gennaio 2000. Alfredo Salsano (1939-2004) è stato un importante operatore sia culturale (ricorderei in particolare due suoi volumi: ”Ingegneri e politici” Einaudi 1987 e ”Il dono nel mondo dell’utile” Bollati Boringhieri 2008) che editoriale. 

Ha collaborato con importanti editori e università, ma soprattutto, per quel che riguarda il nostro discorso, è stato tra i collaboratori di una delle principali agenzie italiane di promozione editoriale, tuttora esistente. 

Dunque, le sue sono parole di  persona competente che ha potuto toccare con mano e conoscere molto bene tutti i meccanismi del mondo librario. Il suo segnale d’allarme suonava e suona piuttosto profetico. 

E’ molto importante tenere presente che quelle parole sono state scritte nel 2000 e quindi il decennio cui si fa riferimento è quello degli anni novanta.

E allora riproponiamo la domanda: sarà dunque possibile, nonostante si stia andando verso le estreme conseguenze di questo ”sistema distributivo che rema contro”, mettere in grado qualche giovane di ereditare e portare avanti il mestiere del ”vero libraio”?

Noi ci stiamo provando, ben sapendo che la speranza non può soccombere di fronte agli ostacoli e che la volontà di lottare deve comunque continuare a far parte del nostro futuro.

A questo punto mi rendo conto che avrei dovuto definire con maggiore chiarezza ed ampiezza cosa significa per me essere un ”vero libraio’’.

Occorrerebbe ancora tanto spazio e allora per questo, anche se risulta sempre piuttosto antipatico autocitarsi, mi permetterei di rinviare ad un mio articolo scritto per la rivista La Panarie (numero 204 del marzo 2020: titolo ‘’Il lamento del libraio”).

Libreria al Segno. Pordenone. Interno
Libreria al Segno. Pordenone. Interno