C’è un IN davanti che rende tremolante la certezza. Se si cerca di guardarla bene, risulta una parola un po’ sfuggente, quasi sfuocata, un po’ di corsa.
Improvvisamente appare la scritta IN su un vetro appannato dal vapore, fatta da un ragazzino col dito mentre il suo sguardo si perde nel desiderio a lui negato di raggiungere gli amici.
Oppure si rivela attraverso le zeta tracciate da due giovani allieve, che non san decidere se andare o no, dove e con chi forse non importa. La scritta blu elettrico della matita per occhi risalta sullo specchio dei bagni scolastici e le zeta sembrano grandissime, quadruplicate, piene di punte e spigoli. Come le due giovani del resto.
E’ negli occhi attenti del giovane neolaureato in fisica della Sissa. Una sorta di brillio febbricitante negli occhi lo spinge a continuare fino a raggiungere un risultato. Si percepisce anche nella ricerca di perfezione ed armonia musicale del giovane clarinettista russo. Possiede preparazione, tecnica, passione ed il desiderio di esserci. A Venezia, dove una mattina dopo l’altra può essere certo di svegliarsi in sicurezza. E progettare un futuro.
Ma anche nello sguardo di chi non sa: come arrivare a fine mese, se guarirà, se sua madre la riconoscerà quando andrà a trovarla in casa di riposo, se il barcone ce la farà ad arrivare in un porto, se i bambini. Dove sono?
La più grande incertezza della mia vita è durata un’ora; da un punto di vista temporale non è molto. Il tempo del viaggio in macchina da Pordenone a Gemona il 6 maggio 1976 alle ore 21.15. Con i miei genitori abbiamo creduto che il fratello fosse sepolto sotto le macerie. Non è stato così per fortuna, perché per caso era fuori a cena.