Blognotes 08
Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

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Incontrare le piazze

di Renato Russi

Il sistema degli spazi pubblici definisce da sempre il disegno urbano, definisce da sempre le regole della città romana, negli allineamenti che costituiscono le dorsali degli insediamenti medievali e rinascimentali, nei sistemi di piazza e dei viali della città barocca, nelle nuove centralità e nelle reti ortogonali e radiocentriche della città ottocentesca. Nei secoli, fino a cinquanta, settanta anni orsono, la continuità, la riconoscibilità, la leggibilità del tessuto urbano e della scena urbana sono state sempre mantenute. Ma sempre più, alle regole della citta, si sostituisce l’arbitrio del gesto progettuale. Lo spazio pubblico non determina più il disegno complessivo della città e non è più “strutturante” la città stessa, ma si riduce alla sommatoria casuale ed estemporanea delle aree di risulta lasciate libere dagli edifici e dai complessi edilizi. Si perdono cosi le tipologie urbane: i grandi assi viari, che si configurano come strutture portanti del tessuto, i corsi, le piazze, i percorsi commerciali porticati, le gallerie che ripropongono la complessità e la ricchezza dei grandi spazi pubblici coperti della città romana: terme, basiliche, templi.

Gli architetti più sensibili si rendono conto di queste perdite e cercano di recuperare la complessità e l’integrazione delle funzioni e dei percorsi, tipiche del- la città e del tessuto urbano, nell’organismo edilizio. Il quale diventa sempre più vasto e complicato. Ma il risultato è inevitabilmente deludente. Il gigantismo e l’obesità delle tipologie edilizie non recuperano la ric- chezza dello spazio urbano e rendono edifici e architettura sempre più estranei alle esigenze della comu- nità, degli stessi utenti e alla forma stessa della città.

Sono le case a fare un borgo, ma sono gli uomini a fare una città”. (Rousseau)

Avendo reso possibile questo, i primi costruttori di città costruirono certo meglio di quanto non si ren- dessero conto e di quanto non ci si renda conto oggi,

«La città è un fatto naturale come una grotta, un nido, un formicaio. Ma è pure una cosciente opera d’arte e racchiude nella sua struttura collettiva molte forme d’arte più semplici e più individuali. Il pensiero prende forma nella città e a loro volta le forme urbane condizionano il pensiero.

“Perché lo spazio, non meno del tempo, è riorganizzato ingegnosamente nelle citta. Nelle sue linee e contorni, nello stabilire piani orizzontali e sommità verticali, nell’utilizzare o contrastare la conformità naturale… La città è contemporaneamente uno strumento materiale di vita collettiva ed un simbolo di quella comunanza di scopi e di consensi che nasce in circostanze così favorevoli. Col linguaggio essa rimane forse la maggior opera dell’uomo». (Lewis Mumford, “La cultura delle città”, Ed. Comunità, Milano 1954) Se in Grecia, l’Acropoli dava della città un’immagine in profondità, sino alle sue più remote origini, l’Agorà (la piazza) la rappresentava in estensione, spingendosi oltre i suoi limiti spaziali visibili. La sola caratteristica comune a tutte le Agorà era di essere aperta; per il resto si poteva trovare quasi ogni tipo di edificio. Nella nostra città, le piazze, a parte quelle in centro storico, esistevano in qualità di slarghi per autobus, esistevano in qualità di incroci stradali. L’Agorà aveva in origine una forma alquanto irregolare il più delle volte, a volte era una vera e propria piazza, ma in una città poteva essere poco più che un allargamento della via provinciale. Spesso gli edifici adiacenti erano disposti irregolarmente, qui un tempio, là il monumento o un eroe o una fontana, o magari, in fila, una serie di botteghe di artigiani aperte a passante: mentre in mezzo a banchi o chioschi provvisori caratterizzava- no il giorno del mercato. Che cos’era la piazza del mercato (Agorà) se non quello spazio aperto in cui si riunivano gli anziani e si radunava l’intero villag- gio e in cui volendo si potevano esporre i prodotti in eccedenza per barattarli? Come tante altre manifestazioni dell’antica polis greca, anche l’agorà è descritta nell’Iliade nel primo panorama esauriente della vita quotidiana di una comunità greca, precisamente quello che Omero inserisce nelle decorazioni d’oro e d’argento del favoloso scudo d’Achille. L’Agorà qui è un ‘luogo d’assemblea’ dove ‘si radunano i cittadini’. Questo tipo di spazio è tutto da reinventare, ma ciò è possibile soltanto se viene destinato a funzioni significative e se, d’altra parte, la sua posizione nella città, e quindi il suo raggio di influenza, vengono scelti correttamente.

Eppure sono tantissimi i modelli teorici della città ideale sviluppati nel corso dei secoli dai più grandi urbanisti e progettisti della storia, da Leon Battista Alberti ad Andrea Palladio. Proprio quest’ultimo, in una sua trattazione, sottolinea l’occorrenza della presenza delle piazze come luogo di contrattazione per le necessità dei cittadini e l’importanza della pluralità degli spazi pubblici anche all’interno della medesima città. Tra questi studiosi, Camillo Sitte, urbanista austriaco di fine Ottocento, individua il problema e apre nel 1889 una fondamentale prospettiva di analisi del progetto urbano, pubblicando Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen, uscito nel nostro paese come “L’arte di costruire le città”.

Piazza Venerio. Udine

È in questa visione che si presenta una delle più belle piazze in Europa, a Trieste la Piazza Unità d’Italia. Pur rappresentando una delle piazze del passato, rimaneggiata più volte, individua alcuni caratteri ricorrenti per la corretta definizione degli spazi urbani, come il rapporto fra gli edifici, la presenza di monumenti e ornamenti, lo spazio libero, la circoscrizione dello spazio, la dimensione e la forma, la sua regolarità, i raggruppamenti cercando di sottolinearne gli elementi fondamentali che danno l’affaccio al mare. La sua grande apertura sul mare è quella che la rende la più “scenica” di tutte le piazze!

La città di Pordenone si può considerare, pur nelle sue proporzioni, una città di piazze. Per un motivo a me sconosciuto mi è sempre piaciuta la piazzetta del Cristo, piccola e custodita nell’antico borgo con la pre- senza signorile di una chiesetta, appunto del Cristo, che la denota come piccolo spazio urbano di un passato molto presente per la gente che lì si raccoglie.

Tra le piazze nuove, trovo interessante piazzetta del Portello, centro direzionale, progettato dal Maestro Architetto Gino Valle. Conservo ancora il n. 495 della rivista “Casabella” dell’Ottobre 1983 dove è descritto il progetto e le scelte progettuali che hanno diretto le scelte del progettista in un’area apparentemente di facile approccio.

Oltre a ciò che è descritto ricordo che da giovanissimo studente di architettura ho partecipato all’incontro in Consiglio Comunale, all’epoca il Sindaco era Alvaro Cardin e il progettista Architetto Gino Valle. Il progettista, in merito alla piazza, aveva auspicato un uso nel tempo come il prosieguo del sistema piazze di Pordenone. Il sistema di relazioni fra i vari elementi del luogo grazie al collegamento con il Corso Vittorio Emanuele, da qui la forma triangolare, enfatizzata dalla pavimentazione che ne dà la direzione, l’assialità di riferimento con, appunto, il ponte di collegamento con il Corso antico da una parte e dall’altra parte con la stazione ferroviaria ed il piccolo parco neoromantico presente. Lo stesso Architetto aveva parlato di un “ritorno in piazza” per la città. Se al piano terra della piazza ci fossero state delle attività commerciali, se il blocco centrale fosse stato designato a svolgere funzioni quali galleria d’arte, cafè house, spazi culturali e ludici come una discoteca al piano carrabile questa piazza avrebbe da subito rigenerato l’inteso sistema di vita della città.

In una intervista in “Zodiac” n.20 del 1970 l’architetto Valle diceva “Non so mai dove vado a finire quando comincio un progetto; trovo la forma in fondo, attraverso un rapporto. Io non so niente, non so assolutamente niente di cosa succede quando comincio un progetto. Non mi prefiguro mai niente. Lo trovo, e questo mi interessa moltissimo”.

Negli anni ’90 sono stato nel suo studio di Udine con l’Ingegner G. Cola come direttore della rivista tecnica dell’associazione architetti, ingegneri e geologi della regione e io come collaboratore della stessa. Era un giorno caratterizzato da forte pioggia e l’architetto era preso da molti altri problemi quando poi ha cominciato a dirci che le potenzialità, affinché il progetto del centro direzionale venisse completato da una piazza funzionale alla città, c’erano ma che purtroppo, per scelte “fuori” dell’ambito politico locale e progettuale, non era stato possibile trovarle. D’altronde il progetto ha avuto un processo lungo più di una decina di anni tra varianti al piano regolatore, progetto, approvazioni ai vari livelli che questa idea di piazza funzionale era stata portata avanti sino a quando l’impossibilità ha avuto il sopravvento. Mi spiace questa piazza disegnata come se fosse una composizione geometrica di altri tempi non sia divenuta, alla fine, parte integrante del tessuto urbano della città.

La piazza Venerio di Udine, disegnata con una rigorosa geometria rettangolare, racchiusa tra quinte edilizie novecentesche, orientata verso l’abside della chiesa di San Francesco e che riporta nel suo disegno pavimentale le tracce del palazzo Savorgnan che un tempo qui insisteva. Questa piazza Venerio e relativo restauro della Chiesa di san Francesco a Udine, sempre progettata dal Maestro Friulano Gino Valle nel 1984-91, è dalla relazione così descritta: “La pavimentazione di piazza Venerio a Udine è coincisa con il restauro conservativo della trecentesca chiesa di San Francesco, restauro già curato in precedenza dallo stesso Valle, e con la necessità di lastricare la superficie pavimentata del parcheggio interrato ricavato al di sotto della piazza. Prima dell’intervento il luogo risultava particolarmente degradato: uno spazio ricavato dalla demolizione bellica, ricoperto in semplice ghiaia, da anni utilizzato come parcheggio. La scelta progettuale si è risolta nel lastricare la piazza con pietra bocciardate in lastre liscia in porfido rosso per ottenere una maggiore leggibilità della planimetria originaria di Palazzo Savorgnan nel dividere l’intera superficie secondo una maglia quadrata segnata con sottili strisce di bancone di Verona a delimitare confini precisi con piccoli muretti in elevazione, utili a segare i tracciati dei percorsi di attraversamento e di collegamento longitudinali, verso la chiesa (a ovest) e verso le strade urbane (a est).

In omaggio al tessuto insediativi demolito, la lastricatura della piazza ripropone, evidenziate con lastre di porfido liscio, il disegno dell’assetto edilizio del de- molito, individuato sulla base delle ricerche condotte in sito dalla Sopraintendenza per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici del Friuli Venezia Giulia”. Il progetto ora ripreso per un intervento di restauro conservativo dall’architetto Pietro Valle il quale in linea con il tracciato dello storico palazzo dei “Savor- gnan” riprenderà l’opera del padre per riportarla al si- gnificato originario di piazza con la tessitura in pietra scura che segna la pianta del palazzo quale appariva nella sua fase più tarda, all’inizio del XVI secolo.

Le piazze delle città sono come salotti dell’antichità nell’ottica di una contemporaneità in cerca di luoghi urbani contemporanei.

SI RINGRAZIA L’ARCHITETTO PIETRO VALLE PER LA GENTILE CONCESSIONE DELLE FOTO DI ARCHIVIO DELL’ARCHITETTO GINO VALLE DEL CENTRO DIREZIONALE DI PORDENONE E DI PIAZZA VENERIO DI UDINE

Piazza Portello. Centro Direzionale. Pordenone