Blognotes 08
Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

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Insieme fra due culture

di Federica Gasparet

Le donne in foto si chiamano Yufen e Chuyi Jasmine, sono zia e nipote.

Yùfēn (玉芬)  è la zia e ha un unico nome cinese, il cui significato è “fragranza di giada”.

È nata in Cina, nella contea di Qīngtián (青田), nella provincia dello Zhèjiāng ed è arrivata in Italia a 11 anni, nel 1989, insieme alla mamma, al fratello e alla sorella per ricongiungersi al padre che si era trasferito qui per lavoro nel 1986. Durante l’anno scolastico studiava l’italiano in Italia, mentre ogni estate veniva mandata in Cina a studiare il cinese, per mantenere stretto il legame con le sue radici linguistiche e culturali. I genitori avevano un ristorante, per questo Yufen ha frequentato la scuola alberghiera in modo da poter aprire una sua attività ricettiva nello stesso settore. Con il tempo, a questo lavoro ha affiancato quello di mediatrice culturale, nel settore della sanità e dell’istruzione, mettendo a servizio dei connazionali neoarrivati le sue competenze.

La nipote Chǔyī (楚依) Jasmine ha un doppio nome; il significato del nome cinese è “chiara e affidabile” .

È nata in Italia, a S. Vito al Tagliamento (Pn) nel 2000 e ha frequentato le scuole fino alle superiori nella nostra nazione, diplomandosi al liceo linguistico. È stata la sua grande passione per le arti marziali a indirizzarla nella scelta di fare l’università in Cina, a Guangzhou.

D. Partiamo dal vostro nome, che è ciò che, in fondo, definisce una persona.

Yufen, ho notato che usi solo il tuo nome cinese, mentre tu Jasmine ne utilizzi due. Come mai questa scelta?

Yufen: in realtà, appena arrivata in Italia, mi era stato dato il nome “Elena”, e lo avevo accettato di buon grado per avvicinarmi alla cultura italiana. Crescendo però, intorno ai 18 anni, ho preso consapevolezza del fatto che il nome Elena non mi rappresentava per niente, mentre quello che mi identificava era Yufen; per questo, da quel momento, mi faccio chiamare solo con il nome cinese.

Chuyi Jasmine: a differenza di mia zia, io ho due nomi: i miei amici italiani mi chiamano Jasmine, mentre per quelli cinesi sono Chuyi e mi identifico con entrambi i nomi. Anche quando ho partecipato ai mondiali, mi è piaciuto sentire il mio nome pronunciato per esteso: Zhu Chuyi Jasmine.

Jasmine, in una posizione di wushu

D. Il vostro percorso scolastico è stato diverso, visto che tu, Yufen, hai frequentato la prima parte dei tuoi studi in Cina per poi diplomarti in Italia, mentre per te, Jasmine, è accaduto il contrario. Quali differenze avete trovato tra il sistema scolastico italiano e quello cinese?

Yufen: in Cina le classi sono numerose, nella mia, alle elementari, eravamo in 56 bambini. Ogni maestra insegna una materia e c’è una coordinatrice che svolge solo quell’incarico; questa suddivisione di ruoli di stampo confuciano esiste anche fra gli alunni, i quali possono essere capoclasse, capofila o altro: ciò risulta funzionale sia per la didattica che per la disciplina. I bambini indossano un’uniforme perché, come sottolineava già Confucio 有教无类 Yǒu jiào wú lèi “Nell’istruzione non ci sono differenze di classe”; inoltre, c’è un controllo sull’igiene e sul decoro degli studenti. L’orario scolastico è più lungo che in Italia, si studia anche al pomeriggio; nel periodo della secondaria di primo grado, i ragazzi vanno a scuola anche dopo cena, dalle 19.00 alle 21.00 per concludere o per ripassare i compiti.

Fin dall’antichità gli insegnanti godono di grande rispetto, c’è un detto cinese che recita 一日为师, 终身为父 Yī rì wéi shī, zhōngshēng wèi fù “Chi è insegnante per un giorno, è padre per tutta la vita.”

Chuyi Jasmine: io posso parlare soltanto del percorso universitario in Cina, che assomiglia abbastanza a quello delle scuole superiori italiane, c’è attenzione ma anche controllo nei confronti dello studente, che ha parecchie regole da rispettare all’interno del campus in cui vive. In Italia invece, quello universitario è un percorso abbastanza autonomo, dai racconti dei miei amici ho compreso che si può scegliere se seguire o meno le lezioni senza compromettere il risultato di un esame. In Cina la presenza degli studenti universitari è controllata con l’appello e non si può usare il telefono, mangiare o chiacchierare a lezione. In generale, la mia impressione è che il ruolo dell’insegnante sia tenuto in maggiore considerazione.

D. La Repubblica Popolare Cinese non ammette la doppia cittadinanza, questo implica che le nuove generazioni di cinesi cresciuti in Italia debbano scegliere se restare cinesi o diventare italiani. Ad un certo punto della vostra vita anche voi vi siete trovate di fronte a questo bivio. Quale è stata la vostra scelta?

Yufen: all’età di 30 anni, mi sono spostata con Nicola. Secondo la legge italiana, dopo due anni dal matrimonio e dalla residenza qui, avrei potuto chiedere la cittadinanza italiana. Se lo avessi fatto, avrei automaticamente perso quella cinese, per questo ho scelto di mantenere la mia: io mi sento ancora profondamente cinese, nonostante ami molto l’Italia. I miei due figli, che sono nati qui, sono cittadini italiani.

Chuyi Jasmine: io fino ai 18 anni ho avuto la cittadinanza cinese. Qualche settimana prima del compimento della maggiore età ho deciso di richiedere la cittadinanza italiana per un motivo sportivo, cioè per rappresentare l’Italia agli europei di wushu ad Atene. Nonostante sia cresciuta in Italia, non è stato semplice abbandonare la cittadinanza d’origine, poiché vivo in una famiglia attaccata alle proprie radici e anch’io, come mia zia, mi sento molto cinese, anche se forse la definizione giusta è che mi sento metà cinese e metà italiana. Eppure, in alcuni contesti, faccio ancora fatica ad esplicitare questa sensazione. Per esempio, quando ho vinto i campionati europei e sono salita sul podio, non sono riuscita a intonare l’inno italiano, così come quando ero in Cina all’università non cantavo l’inno cinese. È come se, scegliendo di cantare quello italiano, sentissi di tradire la mia natura cinese e viceversa. Spero, con il tempo, di poterli cantare entrambi, superando questo senso di inadeguatezza.

Yufen

D. Poiché la vostra scelta di rimanere cittadina cinese o diventare cittadina italiana è partita anche dal cuore, vi chiedo cos’è che vi rende orgogliose della vostra identità?

Yufen: io amo molto il mio Paese. Mi piace com’è stato governato in questi decenni, sono orgogliosa dei valori cinesi tradizionali e convinta che, anche grazie a questi, la Cina sia riuscita a compiere quel processo di rinascita e di crescita che è visibile a tutti.

Chuyi Jasmine: io ora sono cittadina italiana, se penso a ciò che mi rende orgogliosa di esserlo, lo collegherei a tanti elementi esterni che forse si possono riassumere nell’idea di bellezza che si respira ovunque qui: dall’arte, alla moda, alla cucina.

In Italia non avverto però un’attenzione particolare nel coltivare i sentimenti patriottici, mentre ai cinesi questi sono trasmessi sia nel contesto familiare che scolastico.

D. Mi pare di aver capito che comunque entrambe conserviate questa doppia natura, cinese e italiana. Yufen, se tu dovessi definire ciò che ti fa sentire cinese e ciò che invece hai assimilato come italiano, cosa diresti?

Yufen: credo di aver mantenuto una caratteristica prettamente cinese che è il forte attaccamento alla famiglia, non solo verso mio marito e i miei figli, ma verso tutti i miei parenti, esattamente come accade in Cina.

Anche nel lavoro di insegnante, tendo a trattare i miei studenti come fossero miei figli.

Nello stesso tempo, credo di aver acquisito una certa dolcezza e un atteggiamento di empatia verso i ragazzi vivendo in Italia.

Pur lavorando molto, come è normale per i cinesi, in Italia ho imparato a concedermi dei momenti di pausa da condividere con le persone che amo.

D. Nella nostra provincia esiste anche una piccola comunità di cinesi. Queste persone sono abbastanza integrate oppure tendono a vivere per conto proprio?

Yufen: sì esiste, anch’io vi faccio parte e, in quanto mediatrice, cerco di offrire il mio aiuto in caso di necessità soprattutto ai neoarrivati con grandi difficoltà linguistiche. Purtroppo, molti di loro si dedicano esclusivamente al lavoro e non fanno nulla per integrarsi.

Chuyi Jasmine: diversa è invece la situazione dei loro figli, che esattamente come è successo a me, grazie alla scuola, riescono ad imparare la lingua e a realizzare un processo di integrazione più proficuo, anche se a volte può succedere che si allontanino completamente dalle proprie origini.

Chuyi Jasmine ha rappresentato l’Italia ai Campionati Mondiali di Wushu a Forth Worth (Usa)

D. Per concludere questa nostra chiacchierata, mi chiedevo se esistono dei pregiudizi o degli stereotipi da parte dei cinesi che vivono in Cina nei confronti dei cinesi emigrati?

Chuyi Jasmine: non ci sono dei pregiudizi, piuttosto c’è un senso di ammirazione nei confronti di chi ha scelto di lasciare la Cina per cercare fortuna all’estero. Quando facevo l’università in Cina i miei compagni, a volte, mi chiamavano affettuosamente 小老外 xiǎo lǎowài, letteralmente “piccola straniera”, ma senza alcun disprezzo, anche perché i cinesi amano molto lo stile italiano.

Yufen: piuttosto i pregiudizi li troviamo qui, fra i nostri connazionali che, a volte,  quando qualche cinese si adegua alle usanze italiane o esprime un punto di vista diverso da quello tradizionale cinese, viene un po’ etichettato come una persona che si è allontanata troppo dalle proprie radici.