Blognotes 08
Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

Articolo presente in

La formula del rischio

di Stefano Zanut

ll rischio, un compagno di viaggio della vita quotidiana

“L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni e le decisioni comportano rischi”. È quanto scriveva Erich Fromm in “Il coraggio di essere”, rappresentando in tal modo una condizione della vita quotidiana che impone a tutti di mettersi in relazione con la necessità di scegliere e le possibili conseguenze che ne possono derivare.

Sono aspetti che a volte diamo per scontati, quasi che il rischio associato sia una sorta di compagno di viaggio che passo dopo passo, attraverso le esperienze che la vita ci concede, abbiamo imparato a conoscere e gestire, altre ci soffermiamo invece sgomenti di fronte a situazioni che non avremmo mai considerato, così come le loro conseguenze.

 

L’origine della parola

Ci sono molte interpretazioni sull’origine della parola rischio: qualcuno la vuole derivata dal greco bizantino rhizikò (sorte, destino), chi dal latino medievale riscus e risigus mentre secondo altri deriva dall’arabo riziq, la tassa da pagare in natura per il mantenimento di una guarnigione. Un’altra possibile origine potrebbe ascriversi al latino resecare, ovvero tagliare. Secondo Francois Ewald, filosofo francese che si è occupato anche di questi temi, la nozione di rischio si comincia a incontrare in epoca medioevale considerando gli aspetti dell’assicurazione marittima. “A quel tempo”, scrive Ewald, “il termine rischio indicava la possibilità di un pericolo oggettivo, un atto di Dio, una forza maggiore, una tempesta o qualche altro pericolo del mare non imputabile a una condotta sbagliata”.

Quel concetto si è poi evoluto nel tempo passando da una sua identificazione con la gravità del danno a una valutazione in termini probabilistici del suo accadimento, fino a un approccio capace di associare alla probabilità di un evento negativo sia l’entità dei danni sia le possibili opportunità che potrebbero derivare dall’accettazione di una componente del rischio.

foto di Francesco Miressi

Strettamente connesso con il pericolo

Il concetto di rischio è strettamente connesso con quello di pericolo, anche se nel linguaggio comune i due termini sono spesso ed erroneamente utilizzati come sinonimi. Con pericolo si vuole identificare l’agente o l’evento che ha la potenzialità di causare un danno (pericolosi sono un’automobile, un piano di cottura, un nubifragio, solo per fare degli esempi), mentre il rischio identifica la probabilità che l’evento sia capace di raggiungere un livello potenziale di danno. Guidare un’automobile può essere rischioso in funzione di molti fattori, come lo stato della strada, la sua manutenzione, il traffico, l’abilità del conducente, il suo stato emotivo e così via. Poi però tendiamo a strutturare una sorta di gerarchia dei rischi basata su esperienze condotte personalmente o condivise nell’ambito della propria comunità. Alla fine attraversiamo la strada, guidiamo l’auto, saliamo su una scala o accendiamo il gas per cucinare senza prestare particolare attenzione a ciò che potrebbe accadere, mentre la sola idea di salire su un aereo attiva incertezze e paure che nemmeno i dati proposti dagli esperti sono capaci di confutare.

Foto di Elisabetta Masi

Le conseguenze tra rischio reale e rischio percepito

Spesso le conseguenze sono valutate diversamente dagli esperti e dalla gente, così come può accadere anche nell’ambito di una comunità, visto che diverse sono spesso le percezioni, i valori e gli interessi dei singoli e dei gruppi. Ciò apre un confronto tra quello che si può definire rischio reale, la cui valutazione è fatta da esperti, e rischio percepito, che si riferisce invece alla valutazione soggettiva che le persone fanno in merito alla probabilità di subire conseguenze da un evento. A volte c’è una differenza minima tra i due, altre la condizione percepita si discosta in modo sostanziale dall’altra, scivolando verso una sottovalutazione o una valutazione errata: può essere il caso, ad esempio, di un rischio alto ma con una reale probabilità di accadimento molto bassa, oppure di un rischio basso anche se la probabilità reale che si verifichi è alta. La percezione del rischio, infine, può essere influenzata da altri fattori come, ad esempio, l’età, il sesso, la professione, l’esperienza personale, l’educazione, la cultura, il luogo dove le persone vivono o hanno vissuto, l’emotività e la personalità.

 

Persone e istituzioni: quale relazione su questi temi?

È importante capire come le persone ragionano e si mettono in relazione con le istituzioni su questi argomenti, ma anche il contrario, ovvero come le istituzioni si muovono verso le persone e le coinvolgono. Spesso è proprio la mancanza di una corretta comunicazione che attiva una diversa e impropria percezione dei rischi. Cass Sunstein, uno dei massimi esperti americani in protezione ambientale e regolamentazione del rischio, si esprime così: “ritengo che l’impegno a precisare le conseguenze nel modo più dettagliato possibile sia una risposta eccellente ai limiti cognitivi degli esseri umani e dei governi. (…) le persone si affidano a scorciatoie mentali che spesso funzionano bene ma possono anche dar luogo a errori enormi, perché fanno leva su una sorta di ‘tossicologia intuitiva’ che porta con sé paure insopportabili. In preda a emozioni fuorvianti, non vedono il più delle volte la necessità di individuare le relazioni tra rischi. Sono vulnerabili nei confronti di condizionamenti sociali che producono cascate di paura e indifferenza. I gruppi ben organizzati, provenienti dal mondo dell’industria o coinvolti negli interessi pubblici, sono fin troppo pronti a sfruttare a proprio favore i limiti cognitivi e i condizionamenti sociali”.

Per Antonio Zuliani, psicologo e direttore scientifico della rivista PdE – Rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, è necessario operare a vari livelli per garantire una corretta valutazione su questi argomenti:

– quello tecnico-informativo, perché le persone dispongano di tutti gli elementi per valutare;

– quello “politico”, che esprime maggiormente l’opinione di gruppi piuttosto che quella di singoli individui, e può anche risentire di strumentalizzazioni;

– quello dei valori di riferimento delle persone, che spesso offre maggiore possibilità di avvicinarsi al loro punto di vista.

 

La valutazione del rischio nel campo della sicurezza dei luoghi di lavoro, ma non solo

Gli aspetti fin qui affrontati trovano collocazione anche nel contesto della sicurezza nei luoghi di lavoro, dove la valutazione dei rischi diventa lo strumento fondamentale di progettazione e gestione di un luogo, anche in emergenza. Così le norme che regolamentano tali aspetti, nel cui ambito il coinvolgimento dei lavoratori assume un ruolo fondamentale, sono gradualmente diventate protagoniste anche del vivere sociale. Nel contempo si è sviluppato anche un altro filone normativo riguardante i cosiddetti incidenti rilevanti, ovvero quegli eventi che possono coinvolgere le strutture produttive causando un pericolo per la popolazione e l’ambiente. Anche qui la valutazione dei rischi e le scelte conseguenti assumono un ruolo importante. Si tratta della cosiddetta “Direttiva Seveso”, emanata dalla Comunità europeo dopo l’incidente che nel 1976 si verificò nello stabilimento della società ICMESA di Meda, confinante con il comune di Seveso, quando un reattore chimico perse il controllo della temperatura e si scaldò oltre i limiti previsti. In quel caso l’apertura delle valvole di sicurezza evitò l’esplosione del reattore ma determinò un ingente rilascio di diossina, con la formazione di una nube tossica capace di coinvolgere un vasto territorio circostante. La Direttiva Seveso, che nel corso degli anni ha subito modifiche per tener conto dello sviluppo delle tecniche e dei casi verificatisi, pone particolare attenzione anche agli aspetti di relazione con i cittadini per garantire una corretta informazione sui profili di rischio dell’attività e sulle conseguenze di un evento, coinvolgendoli anche nel contesto dei Piani di Emergenza Esterna.

Foto di Zeno Rigato

La formula del rischio per la riduzione dell’esposizione a disastri

Più recentemente, sull’onda dei disastri che stanno colpendo a varie scale il nostro pianeta, anche a causa dei cambiamenti climatici in atto, l’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio di disastri (UNDRR – UN Office for Disaster Risk Reduction) ha adottato una modalità di rappresentazione del rischio attraverso la probabilità di perdita di vite umane e causare danni al territorio e alle sue infrastrutture, mettendo in relazione variabili come il pericolo, l’esposizione e la vulnerabilità:

Rischio = Pericolo x Esposizione x Vulnerabilità

 

Dove:

– Il pericolo rappresenta la probabilità che si manifesti una condizione avversa (ad esempio un terremoto o un’eruzione vulcanica, piogge intense, incendi di vegetazione, ecc.) in un luogo specifico.

– L’esposizione rappresenta l’insieme di proprietà e infrastrutture esposte a un pericolo e può includere anche fattori socioeconomici.

– La vulnerabilità spiega la suscettibilità a subire danni. Le funzioni di fragilità e vulnerabilità stimano rispettivamente il rapporto di danno e la conseguente perdita e/o il costo sociale (ad esempio numero di feriti, deceduti, senzatetto, ecc.) generato da un pericolo in base a una specifica esposizione).

Cambiamenti climatici e rischi: a che punto siamo nella nostra regione?

Le conseguenze dei cambiamenti climatici si possono riscontrare anche su scala locale, come si evince da “Segnali dal clima in FVG” (https://www.arpa.fvg.it/temi/temi/meteo-e-clima/sezioni-principali/cambiamenti-climatici/segnali-dal-clima-in-fvg/), la pubblicazione annuale dell’ARPA FVG che cerca di fare il punto su questi aspetti. I dati proposti ci permettono di scoprire che nel 2023 la temperatura media annuale del Friuli Venezia Giulia è risultata più alta di quasi 1 °C rispetto al trentennio climatico 1991-2020, mentre quella media del mare, misurata a 2 metri di profondità, supera di 1,3 °C i valori del periodo confronto 1995-2022. Le precipitazioni sono risultate invece nella media, dopo un 2022 siccitoso, ma nel contempo ci ricorda ben sei eventi estremi accaduti nel secondo semestre dell’anno. Tra questi la violenta grandinata che nella notte tra il 24 e 25 luglio ha colpito la pianura Pordenonese, Friulana e Isontina (“l’episodio di grandine più intenso verificatosi in regione almeno dagli anni 90”, evidenzia l’ARPA FVG) con danni stimati intorno a un miliardo di euro, mentre solo dieci giorni prima un’altra perturbazione si era manifestata con raffiche di vento che superavano i 120 km/h. Se un tempo questi eventi si potevano considerare “eccezionali” perché accadevano molto raramente, al giorno d’oggi stanno diventando assai più frequenti, tanto da imporsi come la “normalità” del prossimo futuro.

Chi è più esposto alle conseguenze di questi rischi?

Per rappresentare la suscettibilità a subire le conseguenze da un evento usiamo solitamente il concetto di “vulnerabilità”, che può essere interpretato come un costrutto sociale associato alla fragilità. Lori Peek, Direttore del Natural Hazards Center dell’Università del Colorado-Boulder, osserva che tutte le ricerche condotte attribuiscono sostanzialmente la vulnerabilità e l’esposizione ai rischi alle intersezioni tra indicatori ambientali e sociali, che includono aspetti come la qualità degli insediamenti umani, dell’ambiente costruito, lo stato socioeconomico, il genere, l’etnia, l’età, lo stato di salute, l’occupazione, l’istruzione, l’accesso alle risorse e la rete sociale.

Per comprendere ciò è possibile rifarsi a un caso molto studiato: l’uragano Katrina, che nel 2005 devastò la costa sud-orientale degli Stati Uniti e in cui morirono 1.836 persone, mentre decine di migliaia dovettero abbandonare le proprie case. Considerando la sola città di New Orleans, il 73% delle vittime aveva un’età superiore ai 60 anni, anche se questa fascia di popolazione rappresentava solo il 15% di quella totale.

Oltre all’età avanzata la maggior parte di loro viveva in condizioni di salute precarie, associate anche a condizioni di disabilità, rendendoli maggiormente vulnerabili. Inoltre da quell’evento emerse anche l’etnia come fattore discriminante, dato che la comunità afroamericana fu la più colpita. Per tornare al nostro Paese, delle 16 persone decedute durante l’alluvione che nel 2023 colpì la Romagna ben 14 erano anziane, di cui una allettata senza possibilità di muoversi. Sono aspetti che impongono una seria riflessione sulla nostra capacità di attuare una risposta pianificata ed efficace a questi eventi considerando le persone e le loro vulnerabilità, anche indotta dalla condizione sociale.

Ex voto

Come è diffusa la conoscenza

Su questi temi c’è ancora molto da fare, viste le frammentarie e talvolta contradittorie informazioni che arrivano alle persone. Il lavoro fatto dall’ARPA FVG rappresenta un passo importante in questa direzione, ma bisogna diffonderlo maggiormente, renderlo comprensibile a tutti affinché diventi uno strumento di conoscenza condivisa che possa aiutarci nelle attività di prevenzione (ognuno nel suo piccolo può dare un contributo importante su questi ed altri temi) e guidarci sui comportamenti da tenere durante situazioni di emergenza. In tal senso è necessario passare dalla conoscenza di questi temi alla cultura del rischio.

Ex voto di bottega friulana, datato 1849, che rappresenta quattro donne colte da un violento temporale mentre sono al fiume. La forza del vento, le nuvole basse e le donne che corrono per mettersi al riparo restituiscono chiaramente la tensione dello scenario. (Museo Diocesano di Arte Sacra di Pordenone, inventario n. 0159. Immagine ripresa da Cristina Maraffi durante la mostra “Racconti di terra e di fiume. Guerrino Dirindin, le sue opere, il Noncello”, Pordenone, Galleria “Harry Bertoia”, 15 marzo-19 maggio 2024)