La vita è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla di vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.»
Wislawa Szymborska
Nella parola poetica si esprimono il provvisorio e l’incerto. La poesia è il loro luogo e il loro tempo. Essi si autoalimentano e si mostrano nella fragilità, in equilibrio precario nel centro preciso dell’animo umano.
La parola poetica conduce ricerche nel vuoto, nel corpo, nell’altrove: la parola poetica non è abbastanza concava, non è veloce, sorvola di qua e di là il confine, diffida delle leggi, ignora le promesse, sfugge definizioni e regolamenti, irride la fede.
Giura di essere sincera.
È impavida.
La parola poetica dà credito alla precarietà. Nella vertigine del vivere compie sempre identici errori, trasmuta, suggerisce.
La parola poetica interroga l’enigma “mentre” nell’enigma si manifesta l’indicibile. Esso sempre tace.
La domanda poetica urla, impaziente, assetata di certezza.
Le parole poetiche fluide, onnipotenti e imponderabili, nel silenzio e nel frastuono della vita permettono l’incontro con la certezza straziante e salvifica della morte.
Tra la prima e l’ultima parola poetica ci si scotta la lingua, perché il caffè è troppo caldo e si cede ,arrendendosi al tempo.
Si scopre a durata, si riconosce l’istante.
Si sa che il respiro s’interrompe se si tratta di morte e d’amore.
Si sa poco altro, nulla d’importante. Si avanza come sulla neve fresca, i piedi gelati e fermi, prima dell’arrivo.