Due amici sono soliti incontrarsi per parlare di libri.
Li chiameremo Emme e Enne: due nomi simili, molto vicini, anche perché le loro opinioni spesso potranno essere considerate interscambiabili.
Cominciamo ad ascoltarli.
M. – Ho appena terminato la lettura di “Prima di noi” di Giorgio Fontana. Lo considero un romanzo molto buono. E’ uscito a gennaio 2020 e, a mio avviso, avrebbe ampiamente meritato il premio Strega.
N. – Sono d’accordo. Credo sia di gran lunga migliore rispetto a quello che lo ha vinto (“Il colibrì” di Sandro Veronesi). Anzi, forse possiamo azzardarci a sostenere che sia uno dei migliori romanzi italiani degli ultimi vent’anni.
M. – Già, e invece non è stato neppure segnalato. E’ la solita questione dei premi pilotati e sempre più discutibili.
N. – Bisognerebbe anche considerare il valore generale dei romanzi pubblicati in Italia, spesso non molto alto. Pare che gli editori guardino ormai più al prestigio dello scrittore piuttosto che alla bontà della sua opera.
M. – Prestigio forse è un termine troppo forte. Parlerei piuttosto di notorietà e visibilità. E soprattutto della disponibilità a farsi promotore e venditore del proprio libro partecipando il più possibile al carosello degli incontri televisivi e delle varie presentazioni dentro o fuori dei tanti festival ormai diffusi ovunque nel nostro paese.
N. – Giorgio Fontana sembrerebbe invece tenersi abbastanza fuori da questo carosello e semmai dedicare più tempo al lavoro serio. M – Lo dimostra anche il fatto che non sia uno scrittore di quelli che pubblicano un libro all’anno, sempre e comunque, anche quando in realtà non avrebbero granché da dire e da proporre.
N. – Hai toccato un punto fondamentale. “Prima di noi” è un romanzo robusto che si sente nascere da un forte lavoro di ricerca, riflessione, ricostruzione. Questa lunga saga di una famiglia friulana ci permette di seguire un secolo di storia italiana dalla disfatta di Caporetto fino ad oggi. Ci fa riflettere sui tanti errori e dilemmi, ma anche sulle tante lotte e passioni che caratterizzano il percorso umano.
M. – È vero. All’inizio ci scontriamo con la mostruosità della guerra. Quindi ci immergiamo in un mondo contadino caratterizzato da regole’tanto rigide e ferree quanto umane e virili. E in seguito assistiamo alla trasformazione della società attraverso forze inarrestabili e non sempre controllate razionalmente.
N. – Si, ci interroghiamo sulla follia di ogni guerra e di tante azioni terroristiche, cercando di capire se veramente ci sono buoni e cattivi, giusti e ingiusti. Ognuno di volta in volta può sviluppare le sue scelte in piena libertà. Compito di un romanzo d’altra parte non può essere quello di dare risposte definitive quanto piuttosto di offrire spunti di riflessione e di possibile comprensione.
M. – Certo, è tutto questo attraverso la.passione. Una passione che deve scaturire prima di tutto da un travaglio interiore. Il romanziere è un uomo come gli altri. Può esporre le sue idee, le sue impressioni, ma non può avere la pretesa di presentare la verità. Può interrogarsi e interrogare, tracciare un suo percorso di verità che non sarà mai veramente definitivo, ma sempre passibile di revisione e maturazione. Un percorso da mettere a confronto con quello degli altri nel tentativo di portare avanti una crescita collettiva.
N. – Sono d’accordo. E penso che il romanzo di Fontana svolga molto bene questo compito. Solo per fare un esempio, ho trovato molto stimolante il momento in cui descrive rincontro in carcere tra una terrorista condannata per omicidio e due compagni che hanno abbandonato la lotta armata. È interessante assistere allo scambio di opinioni tra di loro, al confronto aperto durante il quale nessuno avanza la pretesa di aver fatto la scelta giusta e tutti cercano di interrogarsi sugli aspetti positivi e negativi delle rispettive posizioni.
M. – Si, è vero, anche se magari si può avere la sensazione che affrontare certi temi in certi modi possa annoiare o addirittura disturbare.
N. – C’è questa possibilità. In effetti la prima parte del romanzo, quella con un timbro decisamente storico, sembra essere universale e difficilmente esposta a possibili critiche. La seconda parte, che ha un tono più di cronaca, può suscitare reazioni diverse, anche di disaccordo, stanchezza, riserva.
M. – Beh, direi che suscitare tutto questo comunque deve avere un valore. Si tratta pur sempre di reazioni rispetto a qualcosa che scuote, che propone, che porta provocazioni e significati. Certo, Fontana, ma solo lui, potrebbe tornare a lavorare su alcune parti, limando e smussando, rendendo il tutto più fluido e ancora più equilibrato.
N. – Sono d’accordo. Possiamo dire che la prima parte del romanzo è veramente formidabile e praticamente definitiva, mentre la seconda parte potrebbe ancora essere migliorata. Però, come hai giustamente sottolineato, credo che lo possa fare solo lui. A questo punto potremmo anche sottolineare il concetto di opera aperta, quindi lo scambio attivo tra autore e lettori; l’importanza per l’autore di ascoltare attentamente le osservazioni dei suoi lettori e farne buon uso per l’eventuale .riscrittura del suo libro oppure per la stesura di nuove opere. Anche in questo caso possiamo parlare di un percorso di crescita reciproca, favorita da un lettore attento, disposto ad essere parte attiva, e da un autore discreto, capace di ascoltare le opinioni altrui. In definitiva, però, possiamo ben dire che questo romanzo, con o senza migliorie, dovrebbe nel tempo trovare sempre maggior consenso e divenire una delle opere di riferimento della nostra letteratura contemporanea.
M. – Già, una letteratura, quella italiana, non ricchissima ma che fortunatamente offre anche risultati di questo tipo.