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Blognotes 08
Blognotes 15

INCERTEZZA è il tema del numero più recente di Blognotes 15

Articolo presente in

L’angolo della lettura – Tre incertezze del nostro tempo

di Mauro Danelli

Tipi di incertezza ce ne sono tanti. Proverò a fare un percorso personale partendo dall’incertezza di fronte al foglio bianco per poi passare a quella che si pone rispetto al futuro e concludere con quella riguardante i possibili consigli.

 

Primo tipo di incertezza: quella legata all’atto dello scrivere.

”Attraverso l’operazione della scrittura, il segno linguistico invisibile diventa un oggetto visibile, taciturno, intelligibile, molecolare, scomponibile”: è una frase che troviamo nell’ultimo libro che Atiq Rahimi ha scritto insieme alla figlia Alice (”Se solo la notte” Einaudi). E ancora: ”Camus diceva che c’è un tempo per la vita, e un tempo per testimoniare la vita. La malattia dell’immortalità. Una malattia poetica nei grandi, ma patologica, quasi patetica, negli altri. Ma niente di grave”. Rahimi commenta: ”non c’è nulla da aggiungere”. Ed è proprio così. Non c’è nulla da aggiungere.

Una primaria incertezza per chi si mette a scrivere qualcosa dovrebbe legarsi ”al perché dello scrivere”. Si può scrivere per puro piacere personale, senza che altri debbano leggere. Oppure per esprimere delle idee, magari per un confronto. O ancora per offrire spunti di riflessione che possano coinvolgere potenziali lettori. In ogni caso l’incertezza rimane: c’è veramente bisogno che si scriva e soprattutto che altri leggano quello che abbiamo scritto? Questa scrittura nasce da una ”voglia narcisistica” di esporsi oppure dal ”reale bisogno” di comunicare qualcosa che esca dal profondo? Tale incertezza può non porsi per chi è veramente dotato del ”talento di scrittore” e quindi può produrre un bel testo fornito di padronanza della lingua, capace di produrre immagini affascinanti e, se possibile, un momentaneo distacco dalla banalità del quotidiano.

Questo talento però non è tanto diffuso! Molti che presumono di possederlo alla fine non superano l’esame del lettore attento e allenato. Ripetiamolo pure: si tratta di una malattia, ma non è una malattia grave!

L’incertezza può non porsi anche per chi ha vissuto esperienze di vita molto particolari, capaci di coinvolgere chi legge procurando sensazioni, emozioni, riflessioni di forte intensità.

E ancora l’incertezza può non porsi per chi lavorando a lungo sulle proprie idee riesce a produrre un pensiero veramente originale, propositivo, coinvolgente.

Però, se il talento dello scrivere non c’è, se si è privi di esperienze di vita veramente particolari, se manca un pensiero potente…non resta che il senso di incertezza, un rumore di fondo che, per quanto mi riguarda, mi è compagno quotidiano e lo è anche in questo momento. Dunque, perché sto scrivendo? Ci sono degli amici che me lo chiedono e amichevolmente cerco di rispondere, ci provo, con la speranza di presentare alcune righe che non siano del tutto inutili. Ma anche, tornando alle parole di Rahimi, con la coscienza di non poter oltrepassare la sfera del patetico: patetico si, ma si spera non troppo, non tanto da risultare penoso.

 

Secondo tipo di incertezza: quella legata ai problemi del nostro tempo.

Fatta la prima doverosa considerazione, che penso dovrebbe comunque accompagnare sempre chi si mette a scrivere, inizierei la seconda riflessione con una provocazione lanciata tempo fa da uno scienziato americano. Si parte da una proiezione del mondo nel 2050: il nostro pianeta avrà più di dieci miliardi di abitanti, con una forte concentrazione in Africa, continente destinato oltretutto a restringersi per la duplice avanzata dei deserti da una parte e dei mari dall’altra. Un primo problema sarà il sempre più forte bisogno migratorio di queste popolazioni. Un movimento dal sud al nord inarrestabile da parte di qualsiasi partito o movimento politico. Inoltre l’uomo si sarà dotato di armamenti sempre più potenti e il pianeta sarà sottoposto ad uno sfruttamento pesantissimo. La situazione risulterà cos’ insostenibile da rendere necessario lo scatenamento di tutta una serie di guerre, carestie, pandemie tanto da eliminare in un certo lasso di tempo due miliardi di persone e ripristinare nel pianeta un momentaneo e pur sempre precario equilibrio. Come già detto, ci troviamo di fronte ad una provocazione, ma non si tratta solo di un’ipotesi paradossale. Possiamo considerarla come un’eventualità improbabile ma non impossibile. Del resto, gli ultimi anni ci stanno presentando quasi una minima anticipazione di tutto questo. Abbiamo avuto la pandemia da Covid, seguita dalla guerra in Ucraina e poi da quella in Palestina, ma dobbiamo anche considerare con attenzione quanto avviene nel continente africano, ove guerre, pandemie e carestie accadono senza soluzione di continuità. Se ne parla poco se non per il conseguente fenomeno migratorio, inevitabile in quanto è naturale il bisogno di migrare alla ricerca di salvezza e condizioni di vita minimamente accettabili.

Arriviamo così a toccare tutta una serie di incertezze che pongono domande fondamentali: è giusto continuare a spendere in armamenti oppure è preferibile destinare quel denaro a interventi che  garantiscano un maggior livello di giustizia sociale? Possiamo continuare a sfruttare il patrimonio ambientale oppure dobbiamo accettare stili di vita diversi anche se meno ricchi? E’ opportuno cercare di reprimere il flusso dei migranti oppure si possono studiare sistemi per una loro coerente integrazione? Possiamo restare sostanzialmente impassibili, almeno finché non minacciano casa nostra, di fronte a guerre devastanti oppure dobbiamo fare tutto il possibile per scongiurarle? E’ accettabile lasciare che la ricchezza si concentri sempre più nelle mani di pochi potenti oppure dobbiamo pretendere una sua diversa e più equa distribuzione? 

La sensazione di vivere tempi difficili oggi è molto forte ed è particolarmente triste sentire tanti della mia generazione quasi consolarsi al pensiero di ”essere ormai arrivati fin qui”, per cui resterà a quelli che verranno il compito di affrontare così tanti problemi forse insuperabili. 

La sensazione di vivere tempi duri certamente non è prerogativa solo del presente. C’è sempre stata anche in passato. Forse fa parte di una natura umana sempre pronta allo sgomento.

Però ci sono oggi diversi fattori che in passato, e senza andare troppo lontano, non si ponevano: un incremento demografico fortissimo e squilibrato, un arsenale atomico capace di annientare l’umanità anche più di una volta, un livello di degrado ambientale sempre più preoccupante. Come molti fanno possiamo ”negare” tutto questo e sostenere che la terra e l’umanità non sono mai state bene come oggi. Personalmente proporrei tanta cautela di pensiero e il bisogno di riflettere attentamente sui tanti fattori negativi e sulla ricerca di soluzioni e rimedi adeguati.

Ed ecco riapparire prepotente l’incertezza: siamo, saremo disposti a farlo? Oppure lasceremo che una fatale deriva faccia il suo corso? Si svilupperà una volontà socio-politica mondiale capace di affrontare seriamente tutti i fattori critici oppure continueranno ad avere la meglio deliri suicidi di potenza e ricchezza?

Terzo tipo di incertezza: quella legata alle possibili soluzioni.

Sono usciti e stanno uscendo moltissimi libri che tentano di dare delle risposte a tante insicurezze. Ecco nascere un altro momento di incertezza: quali scegliere, quali consigliare? Nessuno di essi può avere la pretesa di fornire soluzioni vere e uniche. Ogni autore può solo proporre vie personali e parziali. Ogni lettore può essere colpito da certe idee piuttosto che da altre. Si tratta di fare un percorso, di formare una sorta di patrimonio personale raccogliendo spunti da voci diverse. Si tratta di costruire una propria posizione, che non sarà mai definitiva, bensì bisognosa di un continuo aggiornamento e rinnovamento.

E allora proverò solo a scegliere qualche pubblicazione tra quelle più recenti. Maurizio Lazzarato in ”Guerra civile mondiale” (Deriveapprodi) sostiene che a partire dagli anni ottanta ”abbiamo assistito all’offensiva pluridecennale di una controrivoluzione che ha progressivamente chiuso ogni spazio politico alla prassi del lavoro vivo”. Possiamo dedurne la necessità di superare la tradizionale politica in nome di una ”metapolitica” capace di riscrivere e sviluppare pensieri e prassi nuovi. Occorrerebbe ”regolamentare un mercato finanziario (dove banche e business sono divinità intoccabili) che attraverso il debito pubblico impone la sua politica agli stati, specialmente a quelli più compromessi come l’Italia”. Occorrerebbe ”combattere un consumismo che depreda le risorse e che fa produrre il cibo non per mangiare ma per vendere”.

Giampaolo Donzelli in ”Sotto il faro. Tendere l’orecchio e il cuore” (La Nave di Teseo) parla di un ”atteggiamento di cura da proporre contro la fatica del vivere, un’attività di frontiera capace di dare risposte alle domande del presente e del futuro, un sistema ove politica, medicina e accoglienza sappiano superare paradigmi che oggi non funzionano più”.

Joseph LeDoux in ”I quattro mondi dell’uomo. Una nuova teoria dell’io” (Raffaello Cortina) cerca di spiegare come il nostro ”io” non sia un’entità fissa ma una ”narrazione” con cui tentiamo di dare un senso al nostro essere nel mondo. Noi siamo il risultato dell’intreccio di quattro mondi (biologico, neurobiologico, cognitivo, cosciente) in una continua interazione da cui scaturisce la nostra coscienza, un complesso di passato-presente-futuro che ci permette di costruire un racconto della nostra vita.

David Ritz Finkelstein in ”Manifesto della melanconia” (Adelphi), partendo dalla ”Melancolia I” di Durer e incrociando teorie artistiche e scientifiche, mette a nudo lo sforzo vano di raggiungere ”verità e bellezza assolute”. Ogni artista, ogni scienziato, ogni uomo tende ad un ideale irraggiungibile ma tale tensione è necessaria e stimolante.

Ancora una volta possiamo affermare che non esistono teorie e prassi totalizzanti né tanto meno conclusive. Si tratta di lavorare tutti insieme per il bene comune, per il potenziale conseguimento del massimo bene comune possibile.

Ma, lo desideriamo veramente? Lo vogliamo veramente?

Ritorna l’incertezza che resterà compagna di vita: un sentimento dai due volti, causa di ansia deprimente da un lato ma dall’altro anche possibilità di riflessione costruttiva. Un sentimento che  può avere il ruolo negativo di ostacolo da affrontare quotidianamente ma che può pure diventare fattore positivo utile a tenerci in un costante stato di allerta. Uno stato che ci aiuti ad essere responsabili, propositivi, costruttivi.

E a questo punto concluderei con alcune parole significative di May Todd (”La vita decente.Una morale per tutti noi” Einaudi): ”E’ importante porsi domande non solo sul bene e sul male, ma anche sulla migliore vita possibile…La decenza, se non altro, è anche un modo di condurre la nostra vita che, seppure non perfetto, può almeno darci la sensazione di aver reso questo mondo polarizzato, conflittuale e spesso burrascoso, un po’ migliore per il solo fatto di averlo attraversato”.