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Blognotes 08
Blognotes 15

INCERTEZZA è il tema del numero più recente di Blognotes 15

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L’incerto vivere di una Aleksandrinka

di Silvana Muzzatti

Immaginate! Valle del Vipacco, 1879. E’ una serata d’autunno, fa già freddo. I primi fiocchi di neve stanno per cadere. Una giovane donna sta allattando il suo bambino di poche settimane; la suocera prepara una minestra di patate ed erbe di campo. La stanza è fiocamente riscaldata, la casa è poco più di una capanna. Ma di mattoni. Il giovane marito sta ramazzando il fieno nella stalla dove le mucche rimuginano placide. Il calore del letame è svaporato subito, non appena lo ha depositato, con la carriola, nella concimaia.

“Dobbiamo parlare, Vesna” dice la suocera dolcemente, appena il figlio varca la soglia zoppicando.

“Non ne voglio più parlare” risponde Vesna angosciata, “non lascio il mio bambino per andare ad allattare il figlio di un’altra!” La voce piena di lacrime ingroppate.

“I soldi sono quasi finiti” continua la suocera, pulendosi le mani nel grembiule e sedendosi di fronte alla giovane nuora. “Dopo l’incidente Ivo non ce la fa più con i lavori pesanti.”

Ivo tace e si guarda le scarpe. Vesna intuisce la vergogna del marito. Vorrebbe consolarlo, dirgli che lo ama anche se ora è zoppo. Ma in lei c’è un amore più grande, per quel piccolo che succhia il suo latte fiducioso e ignaro. Le si stringe il cuore all’idea di abbandonarlo per andare a Trieste, a servizio come balia per una famiglia di ricchi commercianti ebrei.

“Il salario è di 40 fiorini al mese, Vesna” dice la suocera con un nodo in gola, “cinque volte più alto di quello che Ivo prendeva prima di farsi male.”

“Baderemo noi al bambino. Può allattarlo tua cugina, crescerà bene. In famiglia. Con noi” continua la donna, nella voce un misto di speranza, animosità e docile impazienza. “Non starai via molto, solo qualche mese. Ma saranno sufficienti per sopravvivere uno, forse due anni.”

“Sì. Fino al prossimo figlio, al prossimo latte!” commenta ironica Vesna, “poi dovrò ripartire di nuovo…..perché tutti possano sopravvivere”. E’ stanca, le è passato anche l’appetito. Si alza, depone il bimbo nella culla.

Sa che domenica partirà con l’amica Julia. Si è ormai rassegnata. Lo fa per lui. Per loro.

foto da sito in data 25 luglio 2024 – https://www.aleksandrinke.si/aleksandrinke_ita/storia/

 

Inizia più o meno così il viaggio di una aleksandrinka. Vesna è un’invenzione ma sono molte le donne, nubili o sposate, che alla fine dell’Ottocento sono partite dalla Valle del Vipacco, dal goriziano, dalla Slovenia e dal Friuli alla volta di Alessandria d’Egitto prima e del Cairo poi, al seguito di famiglie benestanti di ingegneri, architetti, commercianti,  uomini d’affari.

La loro è una storia non comune, perché non partono per raggiungere il marito emigrato. Partono da sole. O meglio, richiamate da altre donne e ragazze che già sono in Egitto a servizio come cameriere, domestiche, sarte, balie e bambinaie.

Si imbarcano a Trieste per raggiungere Alessandria d’Egitto, da cui deriva il nome con cui sono conosciute. Di solito si stabiliscono in questa città egiziana sul mediterraneo, ma altre volte si spostano al Cairo, sempre al seguito della famiglia presso cui lavorano.

Sono molto richieste perché lavorano bene e sodo, sono dolci e pazienti con i bambini, affidabili e precise nei lavori domestici. Le chiamano les goriciennes. All’epoca dire ho la goricienne significava come dire oggi ho la filippina oppure la colf. Per questo sono pagate bene.

L’Egitto all’epoca era ormai da quasi un secolo meta di una forte migrazione dall’Italia, incominciata all’inizio del diciannovesimo secolo quando  Mohammed Ali, ufficiale albanese dell’esercito ottomano divenuto governatore dell’Egitto nel 1805, aveva avviato un processo di modernizzazione  del paese, che aveva attirato ingegneri, medici, architetti, agronomi, archeologi da tutta l’Europa. All’inizio era stata un’emigrazione d’élite, ma i lavori di costruzione del canale di Suez, inaugurato il 17 novembre 1869 con  la première dell’Aida di Verdi, commissionata per celebrare l’occasione dal khedive Ismail Pascià, aveva attirato una massa di operai, tecnici, muratori e non di rado anche di poveretti che si guadagnavano da vivere facendo gli straccivendoli. Ancora oggi si sente il loro grido per le strade del Cairo, roba becchia! Becchia, becchia! con cui invitano a consegnare ferrivecchi, stracci, mobili da buttare.

Nella seconda metà dell’Ottocento incominciano a partire anche le aleksandrinke.

Ve lo immaginate, partire dalle valli del goriziano e approdare in una città cosmopolita e culturalmente vivace come Alessandria. Rimanere stordite dal vocio in arabo, greco, francese, italiano, inglese che si sente nei mercati; essere accecate dal sole africano o soffocate dalla sabbia che si alza dal deserto. Deve averle spaventate molto; quanto si saranno sentite disorientate?

Unica certezza le amiche, le compaesane, le parenti che lì le avevano invitate e che nel frattempo si erano organizzate le giornate libere incontrandosi prima nei bar meno costosi o sulla spiaggia e poi sempre più nostalgiche, sempre più desiderose di trovare un po’ di aria di casa, avevano fondato delle associazioni culturali, luoghi dove ascoltare la messa in italiano o molto più spesso in sloveno, dove preparare semplici rappresentazioni teatrali, dove scambiarsi notizie di casa. Insomma dove ciacolare un po’.

foto da sito in data 25 luglio 2024 – https://www.aleksandrinke.si/aleksandrinke_ita/storia/

 

Facevano ritorno poi nei loro paesini quando smettevano di allattare, oppure quando avevano messo da parte abbastanza fiorini per sposarsi o, se già maritate, quando la stalla e la casa erano state costruite e la famiglia cominciava a tirare il fiato. Molte, soprattutto quelle partite che erano ancora nubili, tornavano solo quando andavano in pensione. Tornavano con i loro ricordi nel baule, cappellini, tele dipinte con i colori del deserto, delle palme e dei cammelli. Riponevano tutto in soffitta.

 

Oggi quei bauli sono esposti nel museo a loro dedicato di Prvačina, frazione del comune di Nova Gorica, a nove chilometri dal confine con l’Italia.

Incerto era anche il ritorno, per loro, che nel frattempo avevano imparato varie lingue, e bene, perché era importante capire gli ordini della padrona di casa.

Loro che avevano visto il mondo, con le sue brutture e le sue bellezze; erano state a teatro e ascoltato l’Aida di Verdi.

Come le avrebbe accolte il loro piccolo paese?

Non sempre il loro ritorno era gioioso, non sempre tornavano da benvenute. I compaesani  nutrivano non pochi pregiudizi e sospetti nei loro confronti. Ma in famiglia pochi osavano criticarle.  Più di un marito, una suocera o un fratello avranno dubitato della loro onestà e sincerità.

Ma pochi, immagino, hanno osato dire qualcosa a quelle donne, partite da sole per salvare l’intera famiglia. Olio di gomito e petto  pieno di latte la loro ricchezza.