Blognotes 08
Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

Articolo presente in

Prati, giardini e dintorni

di Valentino Casolo
Camomilla coltivata a Pinedo di Claut dall’azienda “Saliet”. Foto Chiara Santarossa

Camomilla coltivata a Pinedo di Claut dall’azienda “Saliet”. Foto Chiara Santarossa

Non ci sono quasi mai alberi in un prato, se ci fossero non sarebbe un prato. Ogni tanto se ne vede qualcuno qua e là, non troppi, altrimenti diventa qualcos’altro: un giardino o un parco. Però, ciò che conta veramente è la differenza con il bosco. Il prato è fatto d’erbe, il bosco da alberi e cespugli. Certo, nel bosco ci sono anche molte erbe, ma stanno al di sotto delle chiome degli alberi: sono il sottobosco. Il prato, se non fosse falciato, diventerebbe un bosco. L’uomo falciava i prati per ottenere foraggio per il bestiame. Gli animali erano fonte di cibo e forza lavoro – compreso nella forma dei trasporti. Oggi non è più così, il bestiame è solo cibo ed eventualmente compagine e svago.

Luciano attraversa un prato; un prato magro, di quelli che crescono nei terreni poveri e sassosi. Alla fine di maggio sono ricchi di fiori. Cerca orchidee. È facile innamorarsi delle orchidee, sono talmente belle!  L’erba è leggermente mossa dal vento e sembra un piccolo campo di grano che vuol esser adulto. I culmi delle graminacee, appena piegati, flettono verso terra le loro pannocchie arestate. Le foglie piegate sono solo l’erba, l’erba è intarsiata di forme colorate: fiori e insetti. Luciano non conosce tutte le piante presenti in quel prato, ma sa bene che ospita un gran numero di specie, più che in un bosco¹.  

La signora Carla passeggia lentamente, guardando in basso, nel piccolo giardino di casa. Veste una camicia a quadri blu e pantaloni tecnici da montagna. Sotto un sole primaverile, ma già caldo, controlla che il suo prato inglese²  non sia contaminato da altre specie; era stato seminato solo del loietto. Anche altre graminacee van bene, purché non sia gramigna… naturalmente!

Il verde è intenso a volte cupo, quasi monocromo e monotono, pare finto e, a pensarci bene, lo è. Le foglie, tutte della stessa grossezza, sembrano le infinite sbarre di una prigione³.

Un giorno, un po’ per scherzo, ma non del tutto, feci osservare a Carla che così non aiutava la biodiversità, mi rispose che avevo ragione, ma che le piaceva così: è più ordinato, mi disse.

Ricordo il boom economico degli anni Settanta. Il benessere era la villetta con taverna e giardino. Il benessere, spesso, era vivere in taverna per non rovinare il soggiorno e la cucina nuova. Il giardino aveva un prato; molto spesso, prima di costruire la villetta, tutto il terreno era un prato, un bel prato verde d’erba e colorato di fiori e farfalle. Se davvero volevi vivere il giardino durante il boom economico dovevi avere il tosaerba a motore. Noi non l’avevamo, da noi passava Angelo Catèl.

Angelo andava di casa in casa tirando un carretto pieno d’erba con sopra una falce, un rastrello di legno e una forca. Ai bambini faceva paura, sembrava l’uomo nero e ricordava la morte.

Era zitto, gobbo, magro e aveva una pelle scura per il troppo sole. Il viso era pieno di solchi, con un grande naso sopra i baffi.

Camminava storto, con la camicia a quadri rossi rappezzata e i pantaloni blu da operario, tenuti su da una cintura in cuoio consumata. Portava sempre un cappello di feltro, anche d’estate. Ai piedi aveva dei vecchi scarponi.

Angelo non aveva più terra, ma aveva bisogno dell’erba per i conigli e le capre. Falciava i bordi delle strade, i fossi dei campi e i giardini di chi non aveva comperato – solo per mancanza di mezzi – il tosaerba a motore.

Angelo falciava senza pause, raccoglieva l’erba con il rastrello, la raggrumava sul carretto con la forca; a volte accettava un caffè o un bicchiere di vino, allungato con l’acqua se faceva molto caldo. Poi ringraziava sottovoce, abbassando la testa e se ne andava tirando il carretto. Tornava dai suoi animali.

Sono in auto e passo per una rotonda, ogni periodo ha qualcosa di suo, adesso ci sono le rotonde. In mezzo alle rotonde c’è un prato. Un operaio con una divisa arancio fluorescente, montato su un trattorino tosaerba, manovra con precisione saltando sul cordolo in cemento, vuole risparmiar lavoro al collega che rifinisce i bordi con il decespugliatore a filo.

Mi accorgo della manovra e con l’auto stringo sul lato opposto per non dar fastidio. L’operaio nel trattore tosaerba mi guarda, fa un cenno con la mano e sorride; dietro la visiera di plastica trasparente, ha un volto con la pelle scura, ma non a causa dal sole. Rispondo al ringraziamento alzando la mano sinistra dal volante; anch’io sorrido.

Ho appena finito di tagliare l’erba del mio giardino, i prati sono belli quando sono colorati e io non ho più paura dell’uomo nero.

 

¹ Diversamente da quanto accade nelle zone tropicali, in quelle con clima temperato il livello di biodiversità è massimo negli habitat prativi. Anche i prati umidi sono ricchi di specie, ricchi di specie e di orchidee.

² Non ho mai indagato se questo nome sia dovuto al fatto che i prati in Inghilterra sono monotoni, monocromi e – quasi – monospecifici, come quelli italici che portano questo nome, oppure se serve a ricordare il green dei campi da golf, per i quali, tuttavia, mi dicono andrebbe usata l’agrostide stolonifera (Agrostis stolonifera).

È interessante notare che tale specie in Italia cresce spontanea negli ambienti umidi.

³ C. Baudelaire: Spleen, Le Fleurs du mal.

Il tosaerba aveva un motore a due tempi e faceva (ma dovrei dire fa) un baccano fortissimo, talmente unico da essere distintivo.

Al baccano del motore, molte volte si aggiungeva il soliloquio di bestemmie dell’operatore, imbestialito dal motore ingolfato e del tutto insensibile ai continui tentativi fatti con l’accensione a strappo.