In un periodo in cui i femminicidi testimoniano una crisi drammatica del maschio, incapace di accettare la fine di una relazione, il libro di Paolo Venti, Mai ti farei del male, è l’occasione di una pacata riflessione sull’amore e i suoi modi di essere. Il titolo del libro, edito ad agosto 2024 da Europa Edizioni, nasce dalla frase che Damiano Vietri, protagonista del libro, pronuncia tra le lacrime per rassicurare la donna che lo ha lasciato, e chiunque possa pensare ad una sua reazione violenta. Ma il distacco fa male, il lettore ne sente tutto il peso attraverso le confessioni di un uomo che non nasconde nulla, si spoglia di ogni pudore, mette a nudo speranze, illusioni, delusioni e ossessioni, fino a perdere il senno e l’anima.
La storia è breve, quasi scontata: un suicidio d’amore di un uomo maturo che non riesce ad accettare la fine di una relazione con una donna giovane e bella, anche se sposata e con figli. La relazione finisce quando lei pone prima un freno a questo legame, poi un alt che cancella ogni illusione. Dopo tanti vani tentativi di ripresa dei contatti, dopo tanti momenti di dolore e di rabbia, Damiano, il protagonista, non riesce a superare il suo crollo e si suicida.
Fine scontata anche questa potremmo dire, perché chi non accetta la fine di una storia, in diversi casi o uccide la partner o si uccide, facendo talora l’una e l’altra cosa. Eppure non è scontato il modo in cui la storia si sviluppa, anzi una originale narrazione si intreccia con una confessione di tutti i personaggi, chiamati a dare un contributo importante come testimoni e curiosi spettatori di un dramma annunciato sin dall’inizio. Già dalle prime pagine infatti, si viene a sapere della morte del professor Damiano Vietri, e come in un libro giallo leggiamo attraverso una serie crescente di flashback cosa è avvenuto e perché. Il ritratto di Damiano, la storia d’amore con Katia, emerge attraverso lettere che l’autore dissemina qua e la tra le pagine, come un filo di Arianna che deve guidare a capire, a trovare l’uscita da un tunnel d’amore malato che non mostra nessuna luce in lontananza. Diverse tecniche si affiancano e di susseguono per dare modo al lettore di seguire con attenzione e coinvolgimento. Quella filmica ci porta negl’interni, inquadra oggetti, foto, particolari che altrimenti sfuggirebbero, quella teatrale fa entrare scena uno dopo l’altro i diversi personaggi, come in dramma pirandelliano. La lingua volutamente poetica si articola su metafore che danno dignità a pensieri e descrizioni, così sembra non solo di essere presenti, ma scoprire insieme al personaggio di turno quella filosofia spicciola che rende profonda e importante anche la banalità.
Dialoghi e monologhi si alternano per offrire i diversi punti di vista. Ma tutte le figure sono in sostanza un pezzo di Damiano, una tessera del suo puzzle, aiutano a costruire la storia, e anche Damiano stesso. Quando poi apparirà evidente che Damiano e l’autore sono la stessa persona, che la storia è autobiografica, e quando Venti stesso interverrà come personaggio (un’entrata teatrale di sicuro effetto) per rivelare la finzione narrativa del suicidio di Damiano, allora i diversi piani narrativi troveranno la sintesi perfetta. Ma intanto siamo stati trascinati dentro una storia che vive continuamente una dimensione alterata, un deragliamento dei sensi. Esiste una tale passione? Sicuramente sì. Ne hanno parlato in letteratura uomini e donne, in un passato lontano come in uno più vicino a noi. Catullo cantava Odi et amo, confessando al lettore una confusione di sentimenti che non sapeva spiegare e che pure sentiva insieme. Nell’Eneide il poeta Virgilio descrivendo la passione della regina Didone per l’eroe troiano dice: caeco capitur igne, ovvero è presa da un fuoco cieco, che non capisce e non sa spiegare. Ci si consuma d’amore, ci si getta nel mare della passione senza limiti, senza paracadute, senza pensare al domani, senza futuro e senza logica. Forse per questo amore bisogna essere già capaci in partenza di sbandate che fanno male. L’autore ammette che forse Damiano è già un soggetto borderline perché solo chi è tale sogna senza limiti, desidera in modo spudorato, si concede fino a perdersi, e scoprendo un vuoto insopportabile quando l’altro va via, perde ogni ritegno e dignità per vivere solo di dolore.
Damiano è innamorato dell’amore, come di una magia in cui tutto diventa possibile, una sorta di sogno ad occhi aperti che però è vita reale. Un po’ come avviene nell’adolescenza dove tutto è sopra le righe, la gioia e il dolore, in un’altalena che gli adulti non sanno capire. Poi si dovrebbe diventare adulti, arrivare ad una misura più equilibrata, ma non è così per tutti. Qualcuno rimane adolescente nel cuore, con questa voglia di emozioni forti che sfibrano ma ti aiutano a sentirti vivo. Ecco perché è difficile parlare dell’amore perché ognuno ne ha una visione soggettiva. In massima parte tanti ne riconoscono un potere destabilizzante solo nella prima fase: l’innamoramento. Poi, per il resto sono pronti a considerarlo un’ affettività controllata dal logos, dalla razionalità, una risorsa indispensabile nelle relazioni sociali.
Anche Damiano, di fronte ad un amore finito, troncato da lei, senza appello e senza un confronto, si appella a quella parte di razionalità per tirare avanti. Ma dubita di poter comandare alle emozioni che non hanno il linguaggio del logos, di poter addomesticare il cuore ed il corpo che capiscono solo la lingua delle pulsazioni, delle corse forsennate del sangue, degli odori, dei sapori, del tatto. Anzi coesistono nel povero professore innamorato due distinte persone, una che sa tutto, cosa è bene e cosa è male, che riconosce la propria ossessione, ne vede i pericoli autodistruttivi; l’altra che non sa e non vuole più pensare, grida e si dispera come un drogato privato del suo veleno, che è il primo pensiero appena sveglio e l’ultimo prima di un sonno che non arriva mai. Stranamente anche Katia, l’amante, si sdoppia in due figure diverse: una donna che condivide in tutto il delirio dei sensi, ubriaca d’amore, che dà e riceve senza misura, felice di essere il centro assoluto delle attenzioni di Damiano; poi una calcolatrice, fredda, scostante, infastidita e preoccupata per una passione che non accetta di finire. Ma il libro porta a sviluppo estremo il gioco del doppio ruolo: lo stesso autore è costretto a sdoppiarsi: nella veste onnisciente di chi sa tutto e niente: è malato e medico nello stesso tempo, soggetto borderline e insieme rigoroso psicologo, è Damiano che vive un dramma e Paolo Venti che lo racconta. Persino il dott. Lucio Di Gennaro ( vero o finto che sia) entrato all’improvviso nella postfazione di fine libro indossa i panni di psicologo e sociologo insieme. Insomma un libro complesso che non offre consigli, né soluzioni, che pone piuttosto domande. Di fronte ad un amore così invasivo c’è chi si spaventa e fugge e chi sceglie di vivere emozioni forti con cui sentirsi vivi. Nell’immaginario collettivo la grande passione, quella con la p maiuscola, che toglie il respiro e libera ogni trasgressione la si sogna senza volerla vivere veramente, perché non porta nulla di buono, è distruttiva, fa male a chi la vive ed alle persone vicine. Si preferisce sognarla attraverso la vita degli altri, nei romanzi d’amore, nei film, nelle canzoni. Perché se tutto ha un fine anche quest’amore con la A maiuscola dovrà prima o poi finire. Ma come? Esiste un modo giusto, che non faccia troppo male, che tenga conto di ciò che è stato dato e ricevuto, che non lasci lacerazioni, rancori, ferite insanabili? Che chieda e riceva perdono, che abbia ragioni convincenti per l’uno e per l’altra? Insomma che possa chiudere alla pari una relazione che forse tale non è mai stata? Perché difficilmente si ama alla pari, in tanti casi ciò che si dà e si riceve compensa vuoti, deficit affettivi, problemi di autostima e tanto altro. Come chiudere allora storie giocate su tanti campi, spesso anche in modo inconsapevole? Se l’amore può essere egoista è facile che lo diventi anche la fine. Ma chi ha lasciato entrare nel suo cuore e in tutto sé stesso un sentimento totalizzante, che ha dato fino all’esaurimento non sa accettarne la fine perché con la fine dell’amore si spezza una magia, quello stato di esaltazione che è adrenalina pura, e si ritorna ad una normalità che non è vita per “chi è innamorato dell’amore”.
Le moderne posizioni della psicologia consigliano un taglio netto per chiudere una storia, non ammettono cedimenti né ripensamenti, non contemplano chiarimenti né ultimi incontri. Non a caso oggi vanno sempre più di moda scelte come “ghosting” o “breaking up by text”. Con la prima si chiude senza spiegazioni, e ci si nega fino a diventare introvabili, la seconda si risolve in un ultimo messaggio lapidario. Damiano si scontra con l’una e con l’altra, troppo per un cuore ormai stanco, che si sente come una cosa vecchia buttata via. Mai ti farei del male è un libro dove scoprire da vicino come siamo, con le nostre fragilità e le nostre debolezze. Nel confronto tra Damiano e Katia, in questo specifico caso, forse le nostre simpatie, non il torto o la ragione, si spostano verso il povero professore, ma in tante altre vicende le parti potrebbe essere invertite. L’autore, svelando che il suicidio di Damiano è solo una finzione letteraria, ricorda che esistono altre strade e che l’accettazione è dolorosa ma non impossibile, anche se gli uomini hanno imparato a sopportare il dolore meno della donna.
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