l più famoso esempio pop sul tema del doppio nel cinema è, indubbiamente, il dottor Jekyll e Mr Hyde. La letteratura, da sempre, ha nutrito il cinema e anche in questo caso tutto parte dal racconto gotico di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde) scritto nel 1886. L’inquietante storia di questo dottore che la sera si trasforma nel terribile Hyde ha avuto nell’immaginario un impatto universale e non poteva sfuggire al cinema questa intrigante vicenda dove due distinte personalità albergano in una sola persona. Quella diurna, buona e gentile e quella malvagia che si manifesta di notte, col buio, perché il nero è da sempre inquietante. È del 1908 la prima versione cinematografica di Dr. Jekyll e Mr. Hyde firmata da Otis Turner andata purtroppo perduta. Ma lo stesso anno Sidney Olcott girò un nuovo Dr. Jekyll e Mr. Hyde tanto che nel periodo del cinema muto, ossia fino alla fine degli Anni ’20, furono ben otto i film su Jekyll e Hyde che battono sul tempo la primogenitura rispetto all’altro film sul tema del doppio citato spesso dalla critica, impropriamente, come primo esempio sul tema, ossia quel Lo studente di Praga (Der Student von Prag, 1913) di Stellan Rye, tratto dal testo di H. H. Ewers in cui un giovane studente vende la sua immagine sullo specchio per 100.000 monete d’oro. Diventato ricco può finalmente amare la facoltosa contessa di cui si era innamorato ma il suo doppio lo perseguita sino a rendere impossibile il suo amore. Per liberarsi lo studente spara all’apparizione della sua immagine, uccidendo così anche se stesso.
Ma tornando a Jekyll e Mr. Hyde, il dilemma del doppio, di una mente scissa e scossa, dilaniata tra l’io e le sue pulsioni irrazionali che rappresentano gli aspetti peggiori, meno presentabili socialmente, ha continuato ad interessare il cinema che ha messo in scena tutte le realtà e tutte le fantasie, utilizzando il tema del doppio in ogni sua variante: nei film comici e nei film drammatici, nei noir, nei fantasy, nei thriller e negli horror.
Anche con l’avvento del sonoro il fascino del doppio, Jekyll/Hyde, ha continuato a tenere banco; si sono cimentati prestigiosi registi come Rouben Mamoulian (nel 1931) o Victor Fleming – quello di Via col vento – (nel 1941) e attori del calibro di Fredric March e Spencer Tracy. Tra le tante versioni di Jekyll e Mr. Hyde ne troviamo anche una in chiave comica, con l’irresistibile Jerry Lewis interprete e regista di Le folli notti del dottor Jerryll (The Nutty professor, 1963); accanto ad una versione raccontata attraverso gli occhi della domestica come in Mary Reilly film del 1996 di Stephen Frears con Julia Roberts, John Malkovich e Glenn Close e poi giù giù fino a quel Dr. Jekyll e Mr. Hyde sognato e agognato dal regista messicano Guillermo del Toro (non ancora realizzato però) con Hyde letto non solo come creatura dal desiderio sotterraneo, ma come una storia di inibizione, di un accumulo tale di repressione che si manifesterà mostruosamente.
Come scriveva Carl Gustav Jung: “Dentro di noi abbiamo un’ombra: un tipo molto cattivo, molto povero, che dobbiamo accettare”, ovvero il nostro doppio, che può diventare il nostro peggior nemico ma anche il nostro alleato o il nostro alibi a seconda delle situazioni e delle persone. Non dimentichiamo che il doppio, nel senso del doppio ruolo, rimane il sogno di tutti gli attori, che possono così mostrare come siano in grado di interpretare sia il lato “buono” che quello “cattivo”.
La letteratura, oltre al dr. Jekyll, ha continuato a nutrire il cinema sul tema del doppio, come ad esempio Partner (1968) di Bernardo Bertolucci, ispirato a Il sosia di Dostoevskij o Blade Runner (1982) di Ridley Scott, tratto da Philip K. Dick oppure La zona morta (The Dead Zone, 1983) di David Cronenberg tratto dall’opera omonima di Stephen King. Ma anche il doppio declinato sul thriller merita attenzione, come nell’Alfred Hitchcock di La donna che visse due volte (Vertigo, 1958), dove il doppio non è solo il tema ma anche la struttura stessa del film che oscilla tra la duplicazione del personaggio e la sottrazione di identità in due unità speculari ma opposte. Così pure in Psyco (1960), sempre di Hitchcock, ritroviamo il doppio come vuoto, buco nero, da cui tutti i personaggi fuggono ma verso il quale tutti sembrano attratti; voragine verso cui corrono in una sorta di attitudine magnetica (il classico fascino del Male). Un “film doppio” quindi Psyco dove Anthony Perkins è un soggetto diviso tra il Bates Motel e la madre, nell’altalenante ossimoro umano mammone-misogino. Solo nella piena identificazione finale con la madre il nostro troverà la sua dimensione.
Tra tante pellicole che affrontano il tema del doppio c’è anche il bellissimo Il cigno nero (Black Swan, 2010) di Darren Aronofsky con una splendida Natalie Portman nel ruolo di Nina, ballerina galvanizzata dal suo ruolo da protagonista ne Il lago dei cigni. A destabilizzarla, però, è proprio il dover sobbarcarsi l’onere e l’onore del proprio ruolo di interpretare tanto la parte di Odette (il cigno bianco) quanto la parte di Odile (il cigno nero, appunto). Il duplice ruolo alberga quindi dentro ad una sola, singola, fragile donna incapace di governare le proprie pulsioni emotive. La protagonista nel corso della pellicola perde progressivamente i contatti con la propria personalità, fino a trasfigurarsi in qualcosa di spaventoso e sconosciuto: si ribella, si dimena, si contorce, fino a scollarsi violentemente, nel denso finale, creando di fatto una doppia Nina. Se in Il cigno nero (Black Swan) Aronofsky fa albergare il cigno bianco e il cigno nero nel medesimo corpo in Inseparabili (Dead Ringers, 1988) di David Cronenberg abbiamo due gemelli monozigoti interpretati entrambi da Jeremy Irons che compie il percorso inverso: un doppio che si riduce al singolo. I fratelli perfettamente identici nell’aspetto ma completamente diversi caratterialmente condividono ogni singolo attimo della loro vita: stesso lavoro, stesso appartamento, stesse donne. Un rapporto così simbiotico da risultare tossico, malato, due persone che si fondono per diventare uno, ma forse Jeremy Irons ha recitato lo stesso personaggio, mostrandoci solo i due lati di una stessa medaglia. Un film che riesce a rappresentare la drammatica sofferenza di un’identità scissa, malata e i suoi tortuosi percorsi che contengono la complessità dell’identità potenzialmente dannosa. Sempre nel solco più naturale del tema del doppio nel cinema, ossia dei gemelli, il classico cliché gemello buono/gemello cattivo fin dai tempi di Caino e Abele, lo troviamo in La maschera di ferro (The Man in the Iron Mask, 1998) di Randall Wallace con i due Leonardo Di Caprio in ruoli dalla personalità opposta e complementare: Luigi XIV, viziato, ossessionato dal potere e dal possedere, capace di tentare di uccidere il proprio gemello e Filippo, un bravo ragazzo umile e timido, con uno sguardo semplice, che non sa essere cattivo. Di Caprio proprio attraverso il gioco di sguardi e la postura sembra davvero dividersi in due. Il tema del doppio è stato sviscerato e in ogni direzione compreso il rapporto tra umano e animale come Wolf–La Belva è fuori (Wolf, 1994) di Mike Nichols con un luciferino Jack Nicholson nella parte dell’homo homini lupus, ossia l’uomo che si trasforma in lupo diventando così metafora sociale e denuncia dell’avidità e cinismo della società americana. Uomo-animale anche in La Mosca (The Fly, 1986) di David Cronenberg dove attraverso vere e proprie metamorfosi fisiche, assistiamo ad una progressiva trasformazione assimilabile a quella di una malattia degenerativa, che attacca prima il corpo e poi il cervello. Nel film di Cronenberg la scissione tra carne e mente vede quest’ultima soffocata e schiacciata dai puri istinti di una mosca. Un tema caro al regista canadese quanto la violenza e la sofferenza indotte da crisi esistenziali. Abbiamo poi il tema del doppio in versione post-moderna composto da uomo e macchina, come in Robocop (1987) di Paul Verhoeven, o Terminator (1984) di James Cameron e più recentemente Avatar (2009) sempre di Cameron, dove l’immagine cinematografica dell’armatura si tramuta in corpo lucente e raddoppiato che si potenzia attraverso una speciale incarnazione di una figura misteriosa e ambigua. Una sorta di doppio-risorsa che dà nuove energie e che garantisce nuova forza che si rivela alla fine come un Io nascosto, coperto, mascherato e illusoriamente protetto. Tra superficie corporea e superficie metallica il confine, quindi, si annulla; l’illusione dell’autogenerazione sembra esprimere unicamente l’ideale di un’autosufficienza assoluta.
Ma il doppio nel cinema non è stato visto e interpretato solo come sinistro, malvagio, ovvero doppio come scontro e incontro di opposti: il bene e il male, il bianco e il nero nel suo ruolo semantico di oscurità. La doppia identità ha avuto nel cinema anche un versante buonista, una natura pubblica normalissima, scialba, banale accanto ad una natura segreta eroica. È il caso dei personaggi di Zorro, Superman, Batman, Spiderman, portati sul grande schermo da vari registi e interpreti, tutte figure dalla pubblica dimensione normalissima che in realtà nascondono un lato supernaturale, eroico. Eroi che decidono di fuggire dagli schemi, liberando un alter ego forte, una sorta di “guardiano dell’inconscio”; come in Batman, dove il pipistrello è l’angosciante immagine utile per affrontare le sue paure e canalizzare verso il bene i suoi disagi interiori e i suoi traumi; o come Superman eroe ricco di sfumature psicologiche dove il colore della Kryptonite diventa metafora di sentimenti e situazioni. Non poteva mancare nel cinema sulla doppia identità anche una declinazione più leggera, divertente, gender, da commedia, come nel capolavoro di Billy Wilder A qualcuno piace caldo (Some like it hot, 1959) con Tony Curtis e Jack Lemmon che, per sfuggire ai criminali, si aggregano ad una orchestra femminile di jazz diretta in Florida, fingendo di essere due donne. Orchestra di cui fa parte anche la conturbante Marilyn Monroe. Tra equivoci, fughe, cambi di abito e di identità, inseguimenti, il film è una delle commedie più famose della storia del cinema. Un gustoso aneddoto narra che la costumista disse un giorno a Marilyn Monroe che Tony Curtis aveva un posteriore più bello del suo. La Monroe toccandosi il petto rispose: «Di certo però non ha due tette così!». Identità di genere protagonista anche in Tootsie (1982) di Sydney Pollack dove Dustin Hoffman, en travesti, racconta cosa significhi essere una donna, in un mondo ancora troppo maschile e lo fa attraverso atteggiamenti dettati dalla necessità della sua doppia identità, in una sorta di corto circuito esplicitato nella dichiarazione finale: «Sono stato un uomo migliore con te come donna di quanto lo sia stato con le altre donne come uomo.». Stesso tema travesti anche in Mrs. Doubtfire (1993) di Chris Columbus con un istrionico Robin Williams, divorziato, che per vedere di più i figli che ama si trasforma in una perfetta, attempata, governante assunta dall’ignara ex-moglie. La ricchezza del film è nel modo in cui gioca con il cliché della guerra dei sessi, dove tutti sono molto meno perfetti di quanto sembrano. Ma il doppio più visionario resta ad appannaggio di Federico Fellini che raggiunge inarrivabili vette poetiche nel finale di Otto e mezzo (1963) in cui egli è artista e critico di se stesso, è la proiezione giudicante, puro intelletto, che guarda quel vagabondare del creativo suo alter ego Marcello Mastroianni, materializzazione del suo doppio in un gioco di specchi infinito. Lo mina, lo vede egocentrico, egoistico, casuale e distaccato da qualunque reale processo di ricerca e creazione, apice di una incredibile dicotomia. Alla frase «se non si può avere il tutto, il nulla è la vera perfezione», Fellini risponde attraverso il suo doppio incarnato dal personaggio di Marcello Mastroianni: «… Ah, come vorrei sapermi spiegare… ma non so dire. Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso, ma questa confusione sono io… io come sono, non come vorrei essere … Dire la verità: quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato…». È un’intuizione la sua che fluttua in quel medesimo vuoto ricolmo di un senso che tutto spiega senza spiegar nulla. Fellini: il poeta che si fa sintesi dell’artista e dell’intellettuale, l’intima intuizione dell’essenziale possibilità di raccontare la propria confusione, attraverso il suo doppio materializzato in Marcello Mastroianni. Una irripetibile sintesi poetica del doppio che non ha eguali nella storia del cinema. Last but not least, sul tema del doppio, sempre perennemente attuale, si è cimentato anche un altro gigante del cinema come Stanley Kubrick con l’indimenticabile capolavoro Shining (1980) tratto da un romanzo di Stephen King; un film permeato da una duplicità pressoché infinita: le due bambine, Danny e Tony, Jack Torrence e Delbert Grady, la storia che si ripete, etc.. Non si può quindi pensare al doppio senza pensare a Shining a proposito del quale Kubrick affermava:«Il motivo per cui il tema del doppio è sempre stato così attuale e calzante nelle opere è proprio questo: non è possibile modificare la natura umana, la quale è composta (anche) da una parte malvagia.». In conclusione, dunque, parrebbe che tutti abbiamo dentro un po’ Mr. Hyde accanto al nostro gentile ed educato dottor Jekyll!