“À la gare de Wladimir, de nouveaux voyageurs montèrent dans le train. Entre autres, une jeune fille se présenta à la portière du compartiment occupé par Michel Strogoff. Une place vide se trouvait devant le courrier du czar. La jeune fille s’y plaça, après avoir déposé près d’elle un modeste sac de voyage en cuir rouge qui semblait former tout son bagage. Puis, les yeux baissés, sans même avoir regardé les compagnons de route que le hasard lui donnait, elle se disposa pour un trajet qui devait durer encore quelques heures…
D’une sorte de fauchon qui la coiffait, s’échappaient à profusion des cheveux d’un blonde doré.
Cette jeune fille devait avoir de seize à dix-sept ans. sa tête, véritablement charmante, présentait le type slave dans toute sa pureté…”.
(Jules Verne. Michele Strogoff.1876)
“La giovane donna, rialzato un po’ il cappuccio, che le nascondeva quasi tutto il volto, si era levata in piedi stringendo in mano un Remington, e guardava la feroce banda senza manifestare alcuna paura…
Appena il cosacco poté vederla in volto, emise un grido di sorpresa e d’ammirazione.
Quella prigionera era la più splendida creatura che avesse mai veduto fin allora in tutto l’immenso impero moscovita. Era di statura alta, slanciata, con una testa superba che tradiva, solamente a guardarla, una energia straordinaria ed una fermezza incrollabile.
Aveva il viso un po’ largo, distintivo particolare elle donne di razza slava…
Nell’abbassare il cappuccio, quella splendida creatura che non dimostrava più di sedici o diciassette anni, fosse ad arte od inavvertitamente, aveva sciolti i capelli…”.
(Emilio Salgari. Gli orrori della Siberia. 1900)
Come è noto, Salgari fu definito il “Verne italiano”, con una valutazione che in qualche modo lo riduceva a epigono dell’illustre scrittore d’Oltralpe. Quanto, però, questa definizione fosse poco fondata emerge già dalla lettura delle poche righe, in cui ci vengono presentate Nadia Fédor e Maria Federowna Wassiloff, le figure femminili protagoniste dei due romanzi “siberiani” pubblicati in Francia e in Italia a un quarto di secolo di distanza.
Nadia Fédor, la “jeune livonienne” di Riga, che nelle più recenti traduzioni italiane diventa una “giovane baltica”, parte dalla sua città per raggiungere suo padre Wassili Fédor, uno stimato medico che è stato esiliato a Irkutsk, perché affiliato a una società segreta. Maria Federowna Wassiloff è, invece, una polacca di Varsavia, che si è messa in viaggio per aiutare la fuga di suo fratello, Sergio Wassiloff, colonnello del reggimento Finlandia, che è stato arrestato a Riga con l’accusa di nichilismo e condannato ai lavori forzati. L’ascendenza verniana dei nomi dei personaggi salgariani è evidente ; e lo è ancora di più se aggiungiamo anche che il compagno di deportazione del colonnello è un giovane studente di Odessa, Iwan Sandorf, il cui nome deriva direttamente da quello del conte Mathias Sandorff, protagonista dell’omonimo romanzo pubblicato da Verne nel 1885. Tuttavia, al di là di queste corrispondenze esteriori, i due personaggi femminili, cui viene attribuita la stessa età (16-17 anni), si rivelano profondamente diversi fin dalla loro entrata in scena.
Nadia apre la portiera di uno scompartimento ferroviario in un giorno di luglio e va a occupare il posto di fronte a Michel Strogoff, senza immaginare che quello sarà l’uomo del suo destino. Il treno è un segno del progresso in una Russia che si sta modernizzando; ma la modernità si ferma a Nižnij Novgorod. Di lì si procede verso gli Urali e oltre, nel mondo selvaggio dell’avventura minacciato dall’invasione dei Tartari. Nadia è bella. Verne indugia nella descrizione del suo aspetto fisico, del suo abbigliamento, del suo comportamento pudico e riservato. Il suo atteggiamento mite e dimesso nasconde una volontà ferrea e una profonda forza morale.
Maria entra in scena in un paesaggio siberiano selvaggio e bianco di neve, a bordo di una trojka, insieme al suo servo polacco e allo jemsik, il conducente. Viaggia per portare aiuto al fratello, dà ordini con sicurezza ai suoi compagni, imbraccia un remington e fa strage di un branco di lupi senza sbagliare un colpo, è poliglotta, si finge francese e tiene testa con spavalderia agli interrogatori dei cosacchi, di fronte ai quali sembra far ricorso anche alle arti della seduzione. La giovane polacca, insomma, è l’opposto di Nadia e riproduce il modello, frequentissimo nei romanzi di Salgari, di giovanissima donna emancipata, protagonista attiva capace di dominare e indirizzare gli avvenimenti, mettendo in luce qualità considerate all’epoca esclusivamente maschili, come l’attitudine al comando e l’abilità nell’uso delle armi, senza rinunciare alla forza seduttiva della femminilità.
Michel Strogoff è del 1876. Vent’anni dopo, nel 1896, Edmondo De Amicis, che era andato a incontrare Verne ad Amiens, in un articolo pubblicato sulla “Nuova Antologia” lo descrive come un tranquillo signore, che sembra un professore di fisica o un burocrate ministeriale, si dedica quotidianamente con metodo alla scrittura, produce due romanzi l’anno, ma intrattiene un rapporto vigile con il mercato e ne pubblica soltanto uno.
“Gli orrori della Siberia” è del 1900. Dieci anni dopo, nel 1910, il giornalista Antonio Casulli pubblica sul “Don Marzio” di Napoli un lungo articolo-intervista, in cui Salgari millanta un’autobiografia fatta di avventure ai quattro angoli del mondo, mentre è schiavo di contratti-capestro che lo legano in esclusiva ai suoi editori (Donath di Genova dal 1895, Bemporad di Firenze dal 1906) e lo costringono a consegnare tre romanzi l’anno e a scrivere tre pagine al giorno.
La trama di Michel Strogoff è nota: i Tartari hanno invaso la Siberia, hanno tagliato i fili del telegrafo e puntano su Irkutsk, sede del governatore, che è il fratello dello zar. A loro si è unito il traditore Ivan Ogareff, che è mosso da motivi di risentimento personale, e intende infiltrarsi in città per favorirne la caduta e per consumare la sua vendetta. Per informare il fratello del rischio che corre, lo zar affida una lettera riservata al corriere di origine siberiana Michel Strogoff, perché la recapiti a Irkutsk. Dopo i capitoli introduttivi, ambientati a Mosca, nei palazzi del Kremlino, in cui compare lo zar in persona, l’azione si sviluppa in modo lineare dall 16 luglio al 6 ottobre e viene scandita meticolosamente giorno per giorno, indicando l’ora con la precisione di un verbale e le distanze tra le tappe del viaggio, sempre riferite in verste, ma sempre accompagnate dalla relativa conversione metrica. Attraverso descrizioni di città e paesaggi ed elenchi di nomi di popoli indigeni e di stazioni della linea telegrafica che unisce Mosca a Irkutsk, Verne punta a darci un’immagine realistica della Siberia, ma il contesto “storico”, cioè l’ invasione dei Tartari guidata da Feofar Khan, è pura invenzione. D’altra parte, se il racconto procede con un occhio alle lancette dell’orologio e un
altro alla pagine del calendario, non viene indicato l’anno; e dello zar, che compare nelle prime pagine del romanzo, non ci viene detto il nome, cosicché all’estrema precisione cronachistica si accompagna un’estrema indeterminatezza storica.
Come nasce in Verne l’idea di un romanzo Siberiano? De Amicis racconta: “ All’opposto di quel ch’io credevo, egli non si mette a far ricerche intorno a uno o più paesi dopo aver immaginato i personaggi e i fatti del romanzo che vi si deve svolgere: fa invece da prima molte letture storiche e geografiche relative ai paesi stessi…I personaggi, i fatti principali e gli episodi gli sorgono in mente durante la lettura.”
Poi aggiunge: “E riguardo alla scelta dei paesi che debbono essere il campo dei suoi romanzi, egli è pure guidato da un concetto ch’ero assai lontano dall’immaginare. Si è proposto di descrivere coi ‘viaggi straordinari’ tutta la terra: procede quindi di regione in regione secondo un cert’ordine prestabilito…”.
Nel 1876, quindi, in questo programma di descrizione del mondo intero è arrivato il turno della Siberia ed è nato Michel Strogoff.
Tuttavia, anche se l’intreccio è calato in un contesto di pura invenzione e in un anno imprecisato, nello zar senza nome dei primi capitoli si riconosce Alessandro II, salito al trono nel marzo del 1855, mentre è in corso la guerra di Crimea, che si concluderà dopo undici mesi con la sconfitta russa e la gravosa pace imposta dal Trattato di Parigi. Alessandro ne denuncerà unilateralmente le pesanti clausole nel 1870, alla caduta del Secondo Impero, dieci anni dopo aver abolito la servitù della gleba e dieci anni prima di cadere vittima di un attentato dell’organizzazione rivoluzionaria Narodnaja volja.
Andando contro una consolidata immagine negativa dell’autocrazia zarista, nel suo romanzo Verne propone un punto di vista che potremmo definire russofilo. Nello scontro tra bene e male la Russia rappresenta il bene, il protagonista russo è un eroe positivo, leale e devoto, lo zar ha il carattere di un sovrano riformatore, generoso e clemente, che punta al superamento dell’esilio come pena dei delitti politici.
Già nel 1867 c’erano state prove di un riavvicinamento franco-russo con la visita dello zar a Parigi in occasione dell’Esposizione Universale, dove il 6 giugno era sfuggito ai colpi di pistola di un attentatore polacco. L’anno dopo Émile Andreoli, un francese di origine côrsa, che nel 1863 a Cracovia si era unito alla spedizione garibaldina di Francesco Nullo in soccorso degli insorti polacchi, ne aveva condiviso le sorti, fino alla deportazione nell’Estremo Oriente siberiano ed era rientrato in patria grazie a un’amnistia, aveva iniziato a pubblicare le sue memorie, dedicandole con parole di scherno ad Alessandro Romanov. La pubblicazione era stata interrotta su pressione dell’ambasciatore russo. E tuttavia, poiché nel 1875 è tuttora in atto un riavvicinamento tra Francia e Russia e si vuole evitare di urtare la suscettibilità di San Pietroburgo, il manoscritto del romanzo di Verne viene dato in lettura allo scrittore Ivan Turgenev, che vive a Parigi e, attraverso di lui, all’ambasciatore Nikolaj Alekseevič Orlov, il quale dà la sua approvazione, ma suggerisce di modificare il titolo originario – Michel Strogoff, courrier du czar – nel titolo definitivo, Michel Strogoff. Ventiquattro anni dopo compare “Gli orrori della Siberia”.
Quello che nel 1981 Antonio Palermo definisce Il “romanzo antizarista” di Emilio Salgari si inserisce cronologicamente in un gruppo di romanzi che si succedono tra il 1898 e il 1904, in cui l’intreccio avventuroso è calato in un contesto storico contemporaneo: la rivolta antispagnola nelle Filippine ( Le stragi delle Filippine. 1898), la guerra ispano-americana ( La capitana del Yucatan. 1899), la corsa all’oro nel Klondike ( (I minatori dell’Alaska. 1900), la rivolta dei Boxer ( Le stragi della China.1901), la guerra russo-giapponese ( L’eroina di Port-Arthur. 1904). In realtà, diversamente da questi romanzi, Gli orrori della Siberia non è riferibile a un episodio “storico/preciso”, quanto piuttosto alla realtà della deportazione politica in Siberia, che coinvolge soprattutto nichilisti e Polacchi. Lo sfondo storico è dato da alcuni riferimenti a eventi precisi (la guerra di Crimea, 1853-56 e la guerra russo-turca del 1877-78, in particolare l’assedio russo di Pleven, cui partecipa il colonnello Sergio Wassiloff) e dalla data, il 27 dicembre 1880, in cui nel primo capitolo si alza il sipario sulla scena dei deportati che raggiungono Tobol’sk.
Nei capitoli successivi apprendiamo che il colonnello Wassiloff e Iwan Sandorff arrivano a destinazione all’inizio di febbraio del 1881 e dopo circa due mesi, quindi in aprile, mettono in atto il loro piano di fuga. Questi tempi ci dicono che la vicenda inizia quando Alessandro II non è ancora morto per l’attentato del marzo del 1881 e che al momento della fuga è da poco salito al trono Nicola I. Ma di tutto questo nel romanzo non c’è traccia. Le date servono solo a definire una cornice temporale entro cui montare una successione di avventure, che Salgari attinge dal suo sperimentato repertorio narrativo: la prigionia, la fuga, l’incontro con gli animali feroci, il tradimento, il duello, il castigo del traditore. Il tutto intervallato da descrizioni che piuttosto che i profumi della natura ci evocano l’odore della carta stampata dei volumi che andava a consultare raggiungendo in tram la Biblioteca Civica di Torino. Insomma non possiamo nasconderci che questo romanzo “siberiano” sul piano dello stile e dell’invenzione non sia tra le cose più riuscite della produzione salgariana; ma, ricordando l’incipit folgorante dei Misteri della jungla nera o le lacrime del Corsaro Nero, siamo disposti a perdonare l’anacronismo che fa del colonnello Wassiloff, trentenne nel 1880, un veterano della guerra di Crimea; e siamo disposti a perdonare anche l’eccesso di dialoghi, che, con la rapidità delle stichomitie della tragedia greca o di certi scambi di battute delle tragedie alfieriane, servono soprattutto a riempire pagine. Perché bisogna far campare la famiglia e le clausole contrattuali non danno tregua: bisogna consegnare tre romanzi l’anno.
Per avere un’idea di come la tirannia del tempo costringesse Salgari a riprodurre senza alcuna rielaborazione gli appunti ricavati dalle sue fonti, si legga almeno il capitolo V – Fra le steppe della Baraba -,in cui, partendo da Tobol’sk a bordo di una tarantassa, cioè una primitiva carretta spaccareni, Sergio e Iwan danno vita a un improbabilissimo dialogo e, rispondendo alle continue domande dello studente, il colonnello ci dà della Siberia un profilo dalla precisione enciclopedica; fino a un insuperabile scambio di battute :
-…la popolazione è quasi stazionaria, perché anche oggi non supera i quattro milioni.
– Una miseria di fronte a così vasta regione.
– Una vera miseria, Iwan, quando si pensa che questa regione ha una superficie di ben 12.406.955 chilometri quadrati.
A questo punto poniamoci la stessa domanda che ci siamo posti per Verne: da dove nasce in Salgari l’idea di un romanzo “siberiano”?
Alla fine del secolo la costruzione della Ferrovia Transiberiana, che è iniziata nel 1891, sta per concludersi e una serie di articoli del Corriere della Sera ne dà conto al pubblico italiano.
Ma tra fine Ottocento e inizio Novecento Russia e Siberia avevano già conquistato un posto di rilievo nell’immaginario europeo e italiano, a partire dalle memorie dei reduci della campagna napoleonica del 1812 e degli esuli delle insurrezioni polacche del 1830 e del 1863; nella seconda metà del secolo, poi, la grande letteratura russa comincia a superare la barriera della lingua attraverso le traduzioni francesi, che inizialmente ne mediano la conoscenza anche in Italia.
Poco piú di venti anni fa Ann Lawson Lucas ( La ricerca dell’ignoto. Firenze 2000), a proposito del romanzo salgariano,ha ricordato quanto fosse frequente in Italia la presenza della Siberia e del tema della deportazione tra il 1890 e i primi anni del ‘900. Nel 1899 compare “Resurrezione”. Il nuovo romanzo di Lev Tolstoj è immediatamente proposto al pubblico italiano in ben tre traduzioni (1899, 1900, 1901) e nel 1904 Franco Alfano ne ricava
un’opera in quattro atti. L’anno prima era andata in scena a Milano “Siberia”, di Umberto Giordano, con libretto di Luigi Illica. Mentre era impegnato nella composizione dell’opera il musicista visitò nel 1897 la II Esposizione d’arte di Venezia, attratto da una monumentale tela del pittore russo Vladimir L’vovič Šereševskij, “Una tappa di deportati in Siberia”, che oggi si trova alla Procura generale della Corte d’appello di Venezia, a Palazzo Grimani. Nel caso del romanzo di Salgari, tuttavia, è bene ricordare che esso rappresenta l’approdo di un interesse pluridecennale per la Russia, che si ritrova già negli anni dell’adolescenza.
Al 1878, infatti, risale il racconto inedito” Giorgio Schestakoff, ovvero Un esiliato fuggito dalla Siberia “, in cui sono presenti i due motivi, la deportazione e la fuga, che saranno l’architrave del romanzo della maturità. Ma può essere anche utile ricordare che nel 1869 “La Provincia di Bergamo” aveva pubblicato la traduzione italiana delle memorie di Émile Andreoli, di cui ho già riferito. Dagli anni veronesi, invece, ci giungono nove articoli, pubblicati tra il 2 ottobre 1883 e il 26 febbraio 1885 su “L’Arena di Verona”, in cui lo pseudonimo di Ammiragliador cela la meno nota attività giornalistica di Salgari, rivolta agli interessi geopolitici dell’immenso impero zarista in Europa e in Asia Centrale, alla minaccia nichilista al suo interno e alla politica di russificazione delle province polacche. Nel 1893, infine, su “L’Unione” di Bergamo erano apparse le memorie, poi raccolte in volume, di Alessandro Venanzio, bergamasco reduce, come Andreoli, della spedizione Nullo e della deportazione in Estremo Oriente.
Si può affermare che, pur obbedendo come Verne ad un’esigenza di “universalità geografica”, la rappresentazione salgariana si muove nel solco di una tradizione di origine risorgimentale, che vede Russi e Polacchi in una dialettica oppressori-oppressi. E si può concludere che la russofilia di Verne è un’eccezione isolata di fronte allo stereotipo negativo della Russia zarista e alla “leggenda nera” russofobica, che, attraverso gli anni dell’Unione Sovietica, approda alla Russia di oggi.