È il 9 aprile 1321, siamo a Kalva, di fronte all’isola di Salsette e alla città di Thane, a una trentina di chilometri dall’odierna Mumbai. Qui assistiamo ad una disputa teologica fra il Kadì, il capo musulmano locale, e quattro francescani. Si discute di Bibbia, che i quattro hanno con sé come unico bene posseduto, e di Corano. La disputa si avvia in modo tranquillo ma via via i toni di fanno più accesi e alla fine uno dei Francescani, Tommaso da Tolentino, il più autorevole dei quattro avendo lui superato la sessantina, è costretto a pronunciare parole decise, dure, che tracciano un solco fra quella che è la vera fede di cui i quattro sono portatori, e la religione del Kadì. Dopo una terribile prova del fuoco a cui è sottoposto inutilmente Jacopo da Padova, i quattro vengono lasciati andare ma la notte seguente dei sicari mandati dal Kadì li raggiungono a Kalva e li uccidono. È il martirio di Tommaso da Tolentino, Pietro da Siena, Demetrio da Tbilisi e Jacopo da Padova, uno dei più noti e rappresentati martìri che hanno insanguinato i predicatori dell’ordine francescano. Come siamo arrivati a Kalva? Sulle tracce di un magnifico volume, magnifico per l’iconografia dettagliatissima, la cura editoriale, la ricchezza di informazioni e documentazione, perfino per il formato e la rilegatura, uno di quei libri che capitano poche volte fra le mani in questi anni di brossure e instant book. Si tratta di Tommaso da Tolentino. Storia di un francescano (ed. Terra dei Fioretti) uscito nel 2021 a Pollenza (MC), scritto da Paolo Cicconofri, Carlo Vurachi, Franco Casadidio.
I primi due, amici e studiosi di Pordenone, sono reduci da un’altra fatica bellissima, sulle tracce di Odorico da Pordenone per il quale hanno scritto Odorico delle meraviglie Pordenone 2015, mentre Franco Casadidio prosegue il grande lavoro del suo concittadino tolentinate (padre) Edmondo Casadidio che negli anni ‘60 ha pubblicato importanti monografie proprio su Tommaso da Tolentino. La strada di Odorico si interseca con quella di Tommaso, e in qualche modo Pordenone si interseca con il mondo attraverso questi percorsi della storia, perché Odorico, nato pochi anni dopo Tommaso, percorse lo stesso itinerario attraverso l’Asia Minore e per mare fino in India, proseguendo poi per Sumatra, Giava, Indocina fino a Pechino. Dal 1318 al 1330, rientrato a Padova, dettò, un po’ come Marco Polo prima di lui (in quegli stessi anni), la Relatio de mirabilibus orietalium Tatarorum, cioè i suoi ricordi di viaggio in quei paesi sconosciuti, menzionando anche il martirio di Tommaso e dei compagni e il suo avventuroso e miracoloso recupero delle reliquie. Chiuderà poi la sua vita a Udine nel 1331. Cose antiche ma curiosamente tornate di attualità se la prima edizione critica della Relatio è stata curata nel 2016 da Annalia Marchisio.
Naturalmente il ricco volume cade nel settecentesimo anno del martirio e si inserisce nelle celebrazioni connesse, ma ha un respiro e uno spessore che escono di gran lunga dall’occasione, suscitando echi e suggestioni innumerevoli. Anche restando all’anniversario non può che colpire la coincidenza con il ben più amplificato centenario dantesco, e leggendo pagina dopo pagina il bel volume stupisce ancora di più scoprire come il panorama storico, religioso, i temi in cui cresce e si forma Tommaso e gli altri francescani siano esattamente quelli che ritroviamo in tante pagine di Dante, basti pensare al canto XI del Paradiso con l’elogio di Francesco. Tommaso fin da giovanissimo, forse neanche ventenne, appartiene alla frangia “pauperista” del movimento francescano, condannata dalla Chiesa già al concilio di Lione del 1274. Incarcerato per dieci anni dal 1280 al 1290, liberato con la salita al soglio di Nicolo IV vive la difficile realtà della chiesa sotto il papato di Martino IV, Celestino V, Bonifacio VIII, Clemente V (che dà inizio alla cosiddetta “cattività Avignonese”), Giovanni XXII che attaccherà con violenza i Francescani spirituali. Tutti nomi di papi che suonano familiari alle nostre orecchie dopo lo studio anche scolastico della Divina Commedia (tracce esplicite di questa disputa interna all’Ordine francescano in Par. XII, 112 ss.).
Un’occasione straordinaria per entrare in questo periodo da una porta diversa, almeno rispetto a quella che rischia di diventare vulgata e monocorde delle celebrazioni dantesche. Quella di Tommaso è la stessa epoca di Dante, contigua la sua esperienza terrena, ma è per certi versi un mondo diversissimo da quello dantesco, una scelta radicalmente altra. Ma alla fine, tocca dirlo, se lasciamo da parte considerazioni letterarie e artistiche, una scelta forse con un respiro più largo, capace di entrare nelle dinamiche del mondo che si stava espandendo a vista d’occhio, disposta a mettersi in gioco e a morire per un ideale. Tommaso dopo la prigionia fu mandato come missionario presso il re Aimone II di Cilicia, si trovò coinvolto nelle discussioni accese fra mondo ortodosso e Chiesa romana dopo il recente scisma d’Oriente, fu inviato più volte presso i sovrani europei per cercare aiuti contro l’espansionismo musulmano. Lo stesso Francesco, che rischiamo di immaginare come il santo dei fioretti e degli uccelli, qui lo troviamo inquadrato con il suo movimento all’interno del complesso rapporto con il mondo islamico e con il clima delle crociate (fu missionario in Egitto nel 1219 e lì incontrò il sultano al-Malik al-Kāmil, con cui ebbe un dialogo molto simile a quello di Tommaso e dei suoi compagni). Dante stesso ci ricorda che “per la sete del martiro,/ ne la presenza del Soldan superba/ predicò e li altri che ‘l seguiro (Par. XI. 100 ss.)
Si diceva di un’attualità straordinaria di queste figure e forse la individuiamo proprio qui, in questo sforzo di trovare un incontro, di dialogare con gli altri, le altre religioni, i popoli lontani. Marco Polo, Beato Odorico, Tommaso da Tolentino sono gli esploratori, in questo senso, gli apripista di un dialogo importantissimo, talora concluso in modo tragico. Quel territorio poco noto che va dal Mar Nero, Trebisonda, Armenia via via attraverso Iran, Afghanistan, Pakistan, India e poi addirittura la Cina, anche oggi, anche dopo la scoperta dell’America e la globalizzazione, è un territorio dove ogni dialogo risulta difficile per ragioni linguistiche e culturali, ma in cui a settecento anni di distanza si continuano a giocare le carte del mondo. È di questi anni la grande ascesa del potere economico cinese, con le sue contraddizioni e le sue chiusure, che ci chiamano ancora una volta allo sforzo di un dialogo, ed è di questi giorni la tragedia afghana, l’integralismo ottuso che tanti punti di contatto finisce per avere con il martirio di Tommaso e dei suoi compagni. Eppure proprio da Tommaso, dalle pagine di questo libro che parla di un personaggio quasi sconosciuto del Duecento, ci arriva un insegnamento: non si vince con la violenza, con l’imposizione aggressiva dei propri valori, con le Crociate, ma con la forza dell’argomentazione, con la pacatezza dell’esempio. Il Cadì di Thane che si pente dopo la morte di Tommaso, il dubbio che si insinua in lui e nei suoi ci parlano, sono di un’attualità sconcertante e non possiamo che ringraziare gli autori che con acribia, fatica, pazienza e cultura hanno ripercorso le vie di questi personaggi in modo che , ancora una volta, la prospettiva della storia illumini il presente.