Quest’anno si celebra il centenario della nascita di Andrea Zanzotto, mentre già ci si prepara a quello di Pier Paolo Pasolini l’anno venturo. Questi due giganti del Novecento, nati a pochi mesi di distanza (rispettivamente il 10 ottobre 1921 e il 5 marzo 1922) si conobbero nel 1954, alimentarono un rapporto di amicizia che durò fino alla fine, superando indenne anche le divergenze di sensibilità e poetica. Zanzotto ne ripercorse le tappe in una poesia dedicata all’amico, scritta in dialetto veneto, Ti tu magnéa la to ciòpa de pan – Tu mangiavi il tuo pane – inclusa nella raccolta Idioma del 1986. Nell’incipit, Zanzotto rievoca il momento in cui, da ragazzi, si sono sfiorati senza conoscersi. Accadeva quando Pasolini prendeva il treno a Sacile per andare a scuola a Conegliano (vicino a Pieve di Soligo dove il poeta veneto è sempre vissuto) e in treno mangiava il suo pezzo di pane: «mi ère poch lontan, ma a quei temp là / diese chilometri i èra ‘na imensità».
Andrea Zanzotto © foto Gianni Pignat
Nella stessa poesia, che ora citiamo nella versione italiana a garantirne una più larga comprensione, Zanzotto rammenta: «Più avanti, ci siamo parlati, ci siamo letti; / certe volte abbiamo taciuto o abbiamo litigato». Non solo si sono parlati e si sono letti man mano che pubblicavano le rispettive opere. Si sono anche scritti, nel senso che ciascuno ha scritto dell’altro. Con una singolare differenza. Mentre Pasolini lo fece a caldo, d’impulso, nell’immediatezza della pubblicazione di una raccolta dell’amico e sotto l’effetto della sua lettura, Zanzotto lo risarcì dell’attenzione con alcuni scritti che apparvero dopo la cruenta morte dell’amico.
Nel 1957, all’uscita di Vocativo di Andrea Zanzotto, Pasolini scrive un breve saggio nel quale il poeta veneto, marginale per scelta, viene dipinto come «come un Masolino della parola tra i Masacci della realtà» (Principio di un engagement, poi raccolto in Passione e ideologia, 1960). Quando invece esce Pasque (1974),
individua nel componimento La Pasqua a Pieve di Soligo la «poesia più importante scritta in Italia in questi ultimi anni; forse, addirittura, dagli anni Cinquanta». Questo testo si trova ora in Descrizioni di descrizioni, volume in cui sono raccolte le recensioni di una rubrica letteraria che Pasolini teneva nei primi anni Settanta. In una di queste, tornando sull’opera dell’amico, aggiunse che Zanzotto «si è inventato un “campo semantico” dove impiantare uno degli edifici poetici più alti della nostra storia letteraria: edificio misterioso ma non enigmatico: quindi irto, difficile, spesso indecifrabile, ma in sostanza chiaro: chiaro come la più chiara pagina di Virgilio o dell’Ariosto».
I tre saggi con cui Zanzotto nel corso del tempo restituì l’apprezzamento che i suoi versi ricevettero da Pasolini vennero da lui stesso riuniti e accostati in Aure e disincanti (1994). Nel primo, Pedagogia (1977), egli sostiene che per avvicinarsi a Pasolini bisogna ripartire dal Friuli in cui il giovane insegnante esercitava la sua vocazione pedagogica inventando favole, come quella del mostro Userum, in modo che i ragazzini imparassero con piacere le terminazioni latine –us, –er, –um: originali esperimenti di un «maestro mirabile», come lo definiva il suo Preside.
“Ritratto di Andrea Zanzotto”, eseguito da Pier Paolo Pasolini, 1974, pennarello su carta, 279 x 328 mm (collezione privata)
In apertura del saggio su Pasolini poeta (1980), Zanzotto si chiede: «Con tutto quello che ha scritto, e creato nei più vari campi, è giusto qualificare Pasolini soprattutto col nome di poeta»? Sì, risponde. E ripercorrendone l’itinerario, osserva come l’amico abbia incarnato di volta in volta «tutti i connotati che il poeta poté assumere», anche i più sofferti e controversi.
Nel terzo intervento, Su Teorema (film e scritto),del 1988, partendo da «quel fondamentale postulato secondo cui Pasolini in fin dei conti non è mai uscito dalla poesia nemmeno quando faceva cinema», Zanzotto propone un’originale interpretazione del film secondo la quale l’Ospite misterioso che sconvolge l’esistenza di un’intera famiglia possa essere l’incarnazione della poesia. Senza escludere le più accreditate che lo vedono come figura del divino, egli pensa che il libro di Rimbaud, Illuminations, «nelle mani di colui che forse è addirittura la Divinità in persona» sia «la testimonianza di quel salto di qualità nell’esistenza che è l’irruzione dello sguardo poetico».
Tornando infine sulla poesia dedicata a Pasolini da poco scomparso, Zanzotto ricorda come la vita li abbia risospinti verso destini diversi: «presi in trappole diverse, / io fermo, impiastricciato nei versi, / tu dappertutto con la tua passione di tutto; ma pur c’era un filo che sempre ci legava: / di ciò che vale avevamo la stessa idea. // Io ti aspettavo quassù, dove ancora / coi loro scintillii sospirano gli alba pratalia (distese bianche di neve) / ma sempre più guasti al di sotto e al di sopra; / tu sei rimasto là col tuo coraggio, / dove più delira l’Italia. / Ah, scusami, se ora non so darti / altro che questo borbottio, da vecchio ormai … / È solo un povero sforzo, tremore, / per ricucire, riconnettere in qualche modo / – per un momento solo, per salutarti – / quello che hanno fatto delle tue ossa e del tuo cuore»
Luciano De Giusti