I.“Egli è ontologico per me, come io credo, sono ontologico per lui”¹
Elisa Meloni
Un uomo ha una fascia che gli stringe i capelli, la bocca spalancata in un urlo, sembra stia ufficiando un rito, ha appena convocato gli Dei in un misto di erotismo e sacrificio che segnerà per sempre l’immaginario (della musica moderna).”² Potrebbe essere una perfetta descrizione di Pier Paolo Pasolini, colto un attimo prima della sua morte, così come l’ha ricostruita semanticamente Giuseppe Zigaina in tanti suoi saggi.
In realtà, come rivelano le parole tra parentesi, è la descrizione di Jimi Hendrix nell’immagine famosa che lo ritrae appena dopo aver distrutto la sua chitarra alla fine del concerto di Monterey nel 1967. La ragione di questo accostamento è nella frase in corsivo, qui usato come ha fatto Zigaina nella sua esegesi dei testi di Pasolini, allo scopo di evidenziarne i messaggi cifrati. Sono parole capaci di condensare perfettamente la teoria di una morte, quella di Pasolini, messa in scena come rito sacrificale allo scopo di segnare per sempre l’immaginario. Ma quello che poteva tranquillamente essere detto per l’azione del musicista sciamano, era inammissibile per uno scrittore e un intellettuale.
Zigaina fu il solo che definì Pasolini scrittore sciamano. Perciò il suo affascinante lavoro sui testi dell’amico – allo scopo di decifrarne la morte – è stato osteggiato, misconosciuto, a volte deriso, ed è costato all’autore un ostracismo diffuso, perfino in campo professionale. Aldilà dell’elaborazione di una teoria e di un lutto, i testi di Zigaina rivelano la consonanza tra i due amici che s’incontrano nel 1946. Alcuni studiosi dicono che dietro una teoria c’è una biografia. Nel caso di Zigaina, nella biografia c’è un incidente infantile che lo privò del braccio destro. Questo dato non appare quasi mai nella narrazione dell’artista, che scelse di non farne una distinzione in alcun senso, ma lo indusse piuttosto a elaborare la sua amicizia con Pasolini sulla base di una comune diversità di pensiero.³ Peraltro dietro una teoria non c’è solo una biografia, ma molto altro e molto di più. Zigaina non accettò di considerare la morte dell’amico in forme letteraliste o complottistiche, ma produsse un’analisi basata su elementi empatici e su campi d’interesse condivisi.
Uno di questi interessi è stata la passione di Pasolini per l’alchimia, che sembra rispecchiarsi in quella di Zigaina per l’acquaforte, tecnica squisitamente alchemica (una sorta di opera al nero o fase di dissoluzione della sostanza, se si pensa all’azione corrosiva dell’acido sulla lastra). Un altro interesse comune fu l’approfondimento dello studio della psiche – con la lettura di Freud e Jung – per Pasolini, e di mente e cervello per Zigaina, come facce di una stessa medaglia. Allo stesso modo, anche l’antropologia culturale e religiosa e l’etnologia, in particolare la Mitologia nei testi di Frazer, Lévi-Strauss, De Martino e Mircea Eliade, – per citare i più importanti – affascinavano entrambi, e fornivano chiavi di lettura della realtà che pochi frequentavano all’epoca. Non per niente Zigaina rimprovera con le parole di Roland Barthes “quei critici che sono affetti da una vera malattia del linguaggio, l’asimbolia”⁴ , per la loro tranquillizzante interpretazione letterale dei testi. Lo stesso Pasolini scriveva che “nelle sue polemiche con altri letterati e intellettuali veniva sempre fuori che essi erano privi di nozioni etnologiche ed antropologiche”, che in lui producevano “un allargamento di conoscenza inebriante”⁵. A questi studi si aggiungevano quelli linguistici basati sullo strutturalismo di Vladimir Propp, che aveva individuato schemi ricorrenti nelle fiabe russe, chiamati funzioni.
Tutto ciò avrebbe portato Pasolini a leggere la realtà e sé stesso in base a canoni simbolici, e a identificarsi con l’Eroe che in virtù del sacrificio di sé resterà per sempre nella memoria degli uomini. Non si può non accostare questo archetipo alla figura dell’amatissimo fratello Guido, partigiano, ucciso a diciannove anni da altri partigiani in seguito al tragici fatti di Porzȗs. Basti leggere le parole scritte all’amico Luciano Serra: “Posso dirti ch’egli si è scelto la morte, l’ha voluta”⁶ . Chi scrive può testimoniare che sopravvivere alla morte tragica di una persona amata – in particolare se a causa di una guerra civile e di un insano spirito di vendetta – produce un senso di colpa e un desiderio di espiazione. Nel caso di Pasolini questo desiderio era probabilmente amplificato da un istinto di morte già presente, come testimonia Zigaina, e come anche padre Turoldo affermò al funerale dello scrittore: “era vissuto con la morte dentro”⁷ .
Compaiono nell’analisi di Zigaina le citazioni di tante opere di Pasolini nelle quali i protagonisti si uccidono o sono uccisi in inquietante analogia con la morte del poeta e scrittore. Pasolini arriva a scrivere “solo grazie alla morte la nostra vita ci serve a esprimerci”⁸ , enunciato che si ricongiunge all’idea della “morte di valore” presente nei miti, secondo le parole di Mircea Eliade: “la morte rituale è una morte violenta che promette la rigenerazione”⁹ . Il suicidio di Porcile, di Medea, dell’Uomo e della Donna in Orgia, l’uccisione di Accattone sono gli esempi più noti nei films del regista. Zigaina, a proposito degli scritti di Pasolini sul cinema, osserva che esso ha rappresentato per il poeta la scoperta della realtà stessa come linguaggio. Il cinema per Pasolini è la lingua scritta della realtà. Usando il metodo cinematografico, il poeta poteva decifrare il linguaggio della sua vita ed esprimere il linguaggio della sua morte. In questo senso, la frase più fulminante di Pasolini è: “La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita”¹⁰ . Come non pensare per analogia alle near-death experiences (esperienze di pre-morte) riportate da tanti anestesisti-rianimatori? È il caso di pazienti usciti da un coma – spesso per arresto cardiaco – che descrivono di aver visto scorrere velocemente i fatti più importanti della loro vita.
Zigaina mostra una grande padronanza interpretativa e una magistrale capacità di scrittura nel sostenere la tesi che Pasolini – in relazione alla sua morte – avrebbe lasciato nei suoi scritti gli indizi di un codice da decifrare. Certamente, nell’elaborare la sua teoria Zigaina non pretendeva di asserire la Verità, come vorrebbero retoricamente quelli che la definiscono con la V maiuscola! Egli affermava convintamente la realtà delle sue decifrazioni, che possono convivere con altre tesi sulla morte dello scrittore. Sono parte anch’esse di un Tutto in cui coesistono le diverse realtà, opposte ma non contraddittorie¹¹ , come avrebbe detto Pasolini. In fondo e in una battuta, Zigaina avrebbe potuto parafrasare le famose parole dell’amico scrivendo: “Io so. Ma non ho le prove. Però ho almeno gli indizi!”¹²
Post-scriptum: Giuseppe Zigaina nel 2003 è stato nominato Accademico dell’Accademia bavarese di Belle Arti di Monaco anche per il suo lavoro esegetico sul linguaggio di Pasolini. Il compito di quell’Accademia è di “farvi operare i maggiori cultori dell’Arte”, e lì studiarono De Chirico, Kandinskij, Klee e Munch. In Italia, si attende un pari riconoscimento.
II.Anatomia come paesaggio
Elisa Meloni
Paesaggio come anatomia è il titolo di una mostra di Zigaina nel 2014, composta da opere incisorie eseguite dal 1965 al 2014. Dopo aver visitato la mostra del 2024 dedicata all’Autore presso l’Istituto Centrale della Grafica di Roma¹³ , si è fortemente tentati di rovesciare quel titolo in Anatomia come paesaggio. Non c’è infatti parte fondamentale dell’anatomia umana che non compaia variamente trasformata e inserita nelle incisioni in mostra.
Non a caso il titolo di una delle incisioni è Omaggio a Vesalio, il grandissimo medico del 1500 che pose l’anatomia nel paesaggio con le straordinarie tavole della sua De Humani corporis Fabrica. Si trattò per l’epoca della massima espressione scientifica, unita al meglio di quella artistica grazie ai bellissimi paesaggi. Questo omaggio a Vesalio può anche essere spiegato con l’effetto dirompente della sua ricerca sul corpo umano.
Si può allora iniziare un percorso di analogie partendo dal bulino dell’acquafortista e dal bisturi del chirurgo-anatomista, che entra nella carne e apre le due labbra della ferita chirurgica. Scendendo più all’interno e oltre la pelle, l’anatomista arriva alle fasce muscolari.
Come in Omaggio a Vesalio, compaiono anche in Anatomia e insetti n. 2 e Anatomia-interrogatorio i muscoli del capo, detti anche mimici, definiti da Leonardo come moti dell’animo.
Possiamo immaginare un riferimento a Leonardo nella scrittura alla rovescia di Omaggio a Vesalio. Il mancinismo è un probabile riferimento a Zigaina stesso, come pure la mano scarnificata a muscoli e articolazioni della Mano e fiore del Dürer, mano destra sulla carta e sinistra sulla lastra. In un ulteriore doppio gioco di rimandi, nello Omaggio a Dürer e nella scritta inversa, presente anche qui, c’è un rispecchiarsi nell’artista tedesco, che usava la scrittura a rovescio secondo il principio alchemico per il quale essa indicava nomi da tenere segreti. Peraltro in un’incisione dell’Autore del 1971 il duplice omaggio a Dürer e Vesalio era presente già nel titolo. Lo spirito alchemico di Dürer ci ricorda che Zigaina aveva studiato in parallelo con Pasolini i testi di Mircea Eliade, che scriveva: “l’alchimista, mentre ricerca la perfezione del metallo, di fatto persegue la sua propria perfezione”¹⁴. Eliade parlava anche di una corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo, dai metalli all’uomo: è qui il collegamento col processo di preparazione dell’acquaforte, vera opera al nero.
Proseguiamo nel viaggio e ci approfondiamo ancora dentro il corpo fino a giungere alle ossa: si riconoscono in molte incisioni, all’interno di altre figure, delle piccolissime ossa sparse, simili agli antichi stili in osso usati per scrivere (un’idea di stile: uno stilo!¹⁵ ). Ossa più grandi come femori, bacino, perfino costole e gabbie toraciche enormi che racchiudono altre immagini, senza preoccupazioni per le rispettive dimensioni, ci ricordano che le ossa sono, in molte tradizioni, quel che rimane e si ricompone dopo la morte e da cui gli esseri rinascono: forse un richiamo alle ossa che Zigaina trovava nel terreno da bambino, e anche all’Ossario di Redipuglia.
Le scale dell’Ossario, i Dormitori dei Lager e le Donne assassinate, oggetto di opere precedenti, affiorano in Interrogatorio-Anatomia, in Interrogatorio-omaggio a Dürer e nell’Omaggio a Picasso con Guernica, ricordo della violenza delle tragedie belliche, infisso profondamente nell’animo di Zigaina e nell’amato territorio friulano. Un territorio in cui larghe fasce di fibre di tessuto connettivo diventano pianure ondulate, e vasi sanguigni e tendini umani si confondono con alberi e tronchi. In questo miscuglio di natura minerale, vegetale, animale e umana c’è un’idea di trasmutazione che fa pensare a Kafka, ma anche a un annullamento della divisione tra i regni: sono paesaggi come anatomie, rimandi al corpo come territorio della nostra vita, alla scoperta della Vita nella nostra vita.
Sul finire della traversata, approdiamo agli “organi nobili”, cervello e cuore: del primo vediamo il tronco encefalico sezionato in sagittale, le commessure, le cavità e anfratti, e gli emisferi (linguistico e analitico il sinistro, emotivo e sintetico il destro).
Sappiamo che quando essi cooperano agiscono in un dialogo fluido e continuo, e Zigaina conclude così la descrizione di se stesso quando incide: “se poi i due emisferi collaborano per fornirsi informazioni sulle tecniche di approccio…”¹⁶
L’ultima immagine¹⁷ della mostra è una barca a forma di ventricolo cardiaco con i vasi sanguigni, o in questo modo l’abbiamo percepita. È del 1951 e s’intitola Braccianti della Bassa, e forse è lì a indicare che certe analogie di forme erano già presenti nella psiche dell’autore: la barca rimanda al padre maestro d’ascia e racchiude i braccianti in un alveo che diventerà organo cavo. Così la barca del cuore, circondata da una fascia di blu cobalto rutilante come sangue venoso, si spinge oltre la laguna, verso il grande mare blu.
III. Il principio del montaggio
Filomena Serra
Giuseppe Zigaina (1924-2015) inizia la sua carriera di pittore nel 1942, quando partecipa a una mostra regionale a Trieste. Il soggetto del quadro era un girasole reciso che giaceva a terra, tra foglie e barattoli, usati e aperti, contro un “cielo tempestoso e romantico”¹⁸.
Molti anni dopo, parlando di questo quadro, dirà che “non si trattava di una natura morta, ma di un’ingenua visione animistica delle cose del mondo”¹⁹ . Certamente, queste parole nascondono il pudore del pittore nel contemplare in retrospettiva un’opera di gioventù. Tuttavia, Il girasole ci offre una preziosa visione del suo lavoro futuro.
L’atmosfera surreale e tutti gli elementi simbolici e formali riconosciuti dalla critica e dagli storici dell’arte sono già visibili in esso. Per noi, non si tratta di una natura morta o di un paesaggio. Si tratta forse di un genere ibrido in cui si celano allegoricamente anche un autoritratto e la sensibilità del pittore. Questa impressionabilità nei confronti del mondo, degli esseri e degli oggetti inserisce nello stesso quadro frutta in decomposizione e un bicchiere, forse di un soldato o di un operaio che si è dissetato con l’acqua, o che si è scaldato il cuore con un sorso di vino. Il cielo, poi, si abbatte sulla terra e sugli oggetti raffigurati con una raffica di nuvole che annunciano tempeste.
È un quadro romantico, certo, per il suo soggettivismo. Tuttavia, da un punto di vista formale, mostra la maturità di un pittore che ha trovato un modo innovativo di concepire le immagini. Zigaina dà inizio a un’estetica frammentaria fatta di immagini fisse secondo il concetto di montaggio per suggerire il movimento. È il principio dell’estetica cinematografica che conferisce a questo quadro la sua stranezza. Poi c’è il modo originale in cui è stato concepito – il pavimento o il terreno è inclinato dal basso verso l’alto – come se la visione del pittore fosse quella di una persona sdraiata a terra che guarda in alto, il cielo e gli oggetti in attesa che qualcosa accada. E di conseguenza anche noi, gli osservatori. Le Nature morte con brocca, dell’anno successivo, presentano lo stesso tipo di costruzione. Nelle opere successive, Zigaina esplora tutte le possibilità dell’immagine, valorizzando la frammentazione più che l’unità a priori, il modo in cui oggetti radicalmente diversi vengono accostati, gli spazi vengono divisi e avvicinati e si creano sovrapposizioni, mentre insetti, animali e figure umane diventano mostruosi e monumentali. È una modalità di rappresentazione complessa che il pittore esplorerà sempre più.
È per questa associazione tipicamente moderna di immagini inattese, chiamata montaggio, che il suo linguaggio pittorico e grafico, cinematograficamente pensato, si fa notare in virtù delle simulazioni di cutting e editing, che sembrano attraversare la pittura, i disegni e le stampe, e persino le immagini dei Libri d’Artista.
Il realismo di Zigaina, negli anni Cinquanta, non era propagandistico, neanche quando era più coinvolto nella vita politica. Forse questo spiega la progettualità visiva a cui l’artista applicò il principio del montaggio che dà senso ed enfasi all’universo drammatico in cui si muove pittoricamente. Tra la passione per l’atmosfera strutturata della Battaglia di San Romano di Paolo Uccello (1435) e la nozione di “conflitto” o collisione tra due realtà antagoniste, appresa dal cinema di Ejzenstejn, Zigaina riunisce, inquadra e mobilita in forma teatrale più significati simultaneamente. Nel 1953, il suo impegno politico nel Partito Comunista Italiano lo porta a documentare la grande manifestazione di quell’anno dei lavoratori della Bassa Friulana. Con la collaborazione dell’amico Aldo Buiatti, realizza il cortometraggio Primo Maggio a Cervignano, ispirato all’iconografia del cinema sovietico degli anni Venti.
In quegli anni è visibile l’avvicinamento delle immagini pittoriche al primo piano dell’inquadratura o la monumentalità delle figure, come in Attesa del traghetto serale e Biciclette e vanghe, entrambi del 1951, o Braccianti che tornano, del 1952.
Seguono un realismo espressionista e l’informalismo (per usare termini convenzionali), che l’artista applica alla critica sociale, come in Generale all’assalto (1960), conferendo a questi dipinti una potente forza simbolica.
Il principio del montaggio si svilupperà soprattutto a partire dagli anni Sessanta. Zigaina si lasciava alle spalle l’utopia, le feste dell’Unità del Partito Comunista, i viaggi in Russia e le bandiere rosse. È in questo periodo di incertezza sul suo lavoro che Zigaina trova nel linguaggio dell’incisione un modo per approfondire l’immagine e i misteri alchemici della tecnica²⁰ . Inizia quindi le importanti serie Dormitorio (1965), Omaggio a Dürer (1971), Omaggio a Vesalio (1972), Anatomia e insetti (1972), Interrogatorio-Anatomia (1971), o Paesaggio come anatomia con nave spaziale (1981). Che siano acqueforti, a inchiostro o a puntasecca, queste opere sono esempi della mirabile tecnica di Zigaina.
Nelle acqueforti, le incisioni lavorano anche sul disegno in una doppia partizione del piano delle immagini, così come nei dipinti. Luoghi di collisione e unione tra natura e inconscio, tra mondi che si oppongono e si intrecciano. Sono il supporto per un modo di immaginare i mondi notturni, acquatici e larvali in vivace interazione, e che trovano la loro coerenza nel principio di associazione delle immagini. È un’inquietudine intellettuale tesa a catturare il mondo, che a sua volta genera nuove apprensioni. Si pensi ai dipinti Farfalla che depone le uova (1967 e 1970); Interrogazione (1971); Farfalla notturna (1971 e 1972); Dal colle di Redipuglia (1972 e 1973); o Farfalla del 4 novembre, (1974); o alle serie di La sera nel vigneto (1980) e dei Girasoli (1980); alla serie dedicata al padre, di cui abbiamo scelto l’acquaforte Mio padre in sogno (1978); o alla tecnica mista, Mio padre l’ariete (1980); e i dipinti Mio padre l’ariete (1982) o Astronave sulla laguna (1983); ma anche Verso la laguna, e Icone per un transito (1996); e ancora i Girasoli (2000); Mio padre che ascolta (2002).
Inoltre, troviamo il principio del montaggio nella sua importante opera incisoria, di cui i Libri d’Artista sono magnifici esempi: I Reca (1977, con testi di Pasolini), Mistieròi (1984), Anatomia di una immagine (1994) Paesaggio come anatomia (1995), Il Tempo delle origini (1998), o Una polemica in prosa (2000). Incisioni che, in occasione della commemorazione del centenario dell’artista, sono state oggetto di una mostra a Roma in questo anno 2024: Zigaina, incisioni, edizioni e libri d’artista .²¹
Una poetica e un’etica della natura
In questa sorta di inventario di forme rappresentate, in cui la natura del territorio della Bassa Friulana, pur essendo “visibile”, appare trasfigurata, la natura e il paesaggio fanno parte di una tradizione artistica storica che Zigaina conosce bene. In un’intervista con Marco Goldin, ha parlato del “sentimento del paesaggio” nato dalla sua esperienza a Tolmino, dell’ampia vallata dove si radunarono tutti i grandi eserciti, del grande attacco a Caporetto e delle stagioni, tanto diverse da quelle di Cervignano.
Zigaina parla di queste esperienze in cui tutto era acqua, tutto era cielo, e dei colori visibili “quando la luce si affievolisce all’imbrunire e la sua forza si diffonde diversamente nell’aria”²² .
Così pure delle esperienze di vagabondaggio notturno vissute in modo divino nei campi di grano appena tagliato, quando si sdraiava a guardare il cielo; o quando vedeva sui muri di Tolmino le prime immagini della falce e del martello e sui muri la scritta: “morte al fascismo, libertà per il popolo”; o le notti di luci proibite per paura dei bombardamenti; e la laguna di Grado, la notte, il silenzio, il territorio e l’ambiente come estensione fisica del sentimento del paesaggio e del sentimento del Bello.
È con questi ricordi che Zigaina costruisce i suoi paesaggi, ma anche con esorcismi liberatori. È in essi che risolve i suoi fantasmi e le sue angosce, offrendoci ciò che ha imparato a vedere come la parte sommersa di uno “sfondo” che chiamiamo Natura e che la fenomenologia della percezione (Merleau-Ponty) ha evocato nel suo corpo. Sono i sogni, le sensazioni e le percezioni a costruire questi spazi surreali; è la terra degli uomini, con le sue guerre, i suoi cataclismi e la sua sopravvivenza; un mondo acquatico che pullula di larve e di altri esseri; farfalle mostruose che depongono uova: la riproduzione; o le crudeli anatomie di teste e cervelli che sono paesaggi o paesaggi che sono cervelli, ossa e sangue. L’uomo è egli stesso un paesaggio, come nella figura del padre, ma dove la natura è la madre. Atmosfere magiche e terrificanti di misteri inesprimibili – la storia della terra e del mondo.
Tuttavia, questo pittore di paesaggi non pratica esattamente una pittura paesaggistica. Il suo sentimento per la natura va oltre e Zigaina è un uomo “inattuale” (Nietzsche), che vede aldilà del suo tempo.
Natura e paesaggio – due nozioni e percezioni distinte che spesso confondiamo. Il paesaggio richiese un sentimento estetico della natura, la sua trasformazione in una forma simbolica – un puro artificio. Dalla Grecia al paesaggio olandese e al Rinascimento italiano, il paesaggio della pittura occidentale ha richiesto secoli di preparazione, nonostante fosse una forma d’arte importante in Asia, soprattutto in Cina, da migliaia di anni. Sebbene esso sia legato alle emozioni, ai ricordi d’infanzia, a molti gesti realizzati e ai sogni che lo fanno rivivere, per lungo tempo la Natura – in quanto idea – si è accontentata di una rappresentazione plastica. Il confronto con una realtà in rapido disfacimento ha portato l’estetica a ripensare la natura secondo parametri etici, sia quelli dell’individuo nel suo rapporto con essa, sia rivendicando quei valori nei confronti della natura stessa.
I paesaggi di Zigaina sono, dunque, la realizzazione di un legame tra elementi vissuti e valori della cultura friulana, un legame che permette una mediazione, un’organizzazione e, in definitiva, un ordine alla percezione di un mondo fatto di acqua, cielo, campagna, dei rumori e dei tormenti della guerra, della notte che nasconde o di luci che brillano, di voci che si sentono in lontananza e anche di odori.
Nell’oscurità, per il bambino Zigaina, la statua della Madonna di Barbana era “una visione di paradiso”²³ . Gli uomini a prua delle barche, l’immagine della Vergine, i canti e la laguna come sfondo e forma. Il paesaggio della redenzione dei peccati degli uomini puniti dalla peste che colpì la regione nel Medioevo trova il suo pieno significato nella Crocifissione del 1947, così come una moderna redenzione dei tempi della Seconda Guerra Mondiale. Da adulto, quei ricordi della processione verso il santuario dell’isola di Barbana sono diventati un viaggio immaginario rivissuto, un inizio totale che affermava la vita di fronte alla morte. Ma non era tutto. Nel momento in cui iniziò a dipingere, vennero prima I girasoli (1942), poi, negli anni Cinquanta, le falci e i decespugliatori; gli uomini anonimi che tornavano a casa in bicicletta di notte dopo aver venduto la loro forza lavoro; o il padre, che era un operaio falegname; più tardi i tronchi, le farfalle e altri insetti. L’anatomia di un paesaggio vivo, ma anche una poetica del paesaggio.
Il territorio siamo noi
È una riabilitazione delle piccole cose che l’arte del XX secolo ha spesso dimenticato, in quanto attributi del buono e del vero. L’opera di Zigaina contribuisce a questa riabilitazione anche con le memorie tragiche di una regione divisa dal potere delle guerre, o dalla preoccupazione per il futuro, temuto a causa di una natura fragile. Paesaggi, dunque, ma non idealizzati, trattati e interpretati, o pure rappresentazioni di sfondo e forme, come l’autore ha giustamente espresso nel dare il suo punto di vista sul territorio:
“Che cos’è dunque il territorio? Il territorio è qualcosa che vede se stesso, che pensa se stesso. Diciamo pure che il territorio siamo noi che pensiamo il mondo, voglio dire il mondo dove viviamo, e meglio se è quello steso in cui siamo nati. (…) Che cosa voglio dire com’è questo? Che un territorio separato da noi non esiste. Siamo noi che lo viviamo, lo pensiamo e, alla fine, il nostro comportamento ne determina la qualità. In poche parole, un territorio” ²⁴.
Sebbene Zigaina ponga l’accento sullo spazio geografico, la soggettività dell’artista è presente come percezione e manifestazione sensibile dell’ambiente. La metafora del “tronco encefalico” è istruttiva, poiché l’artista cerca le qualità dell’esperienza nel loro doppio aspetto interiore, come soggetto e oggetto della percezione:
(René Berger) è rimasto senza parole quando ho cominciato a fare Paesaggio come anatomia, perché disegnavo il cervello come fosse una parte del mio territorio. È strano. Da più di vent’anni disegno (e non so per quali pulsioni scaturite dalle profondità dell’inconscio) una sezione di cervello”²⁵ .
Il paesaggio non è solo una visione pittorica della natura (una veduta, un panorama o una prospettiva), ma un luogo che collega natura e storia – un’identità – un complesso culturale che individua quel luogo, metaforicamente una sorta di cervello con i suoi solchi cerebrali, vasi sanguigni o canali di drenaggio, un ambiente fisico e percettivo e un’esperienza estetica.
Nella nostra società occidentale, non ci rendiamo conto della totalità dei fenomeni che si verificano all’interno del cervello in un atto percettivo. Siamo infatti convinti che gli oggetti esistano al di fuori di noi. È questa scoperta assolutamente radicale che, secondo lo storico dell’arte René Berger, Zigaina ha introdotto nel suo lavoro di artista²⁶ .
¹ P. P. Pasolini, “Antologia critica”, in M. Goldin, Zigaina. La pittura e il disegno, (Milano: Mondadori Electa, 1995).
² Citato in: Memoria fotografica: Jimi Hendrix al Monterey pop festival, Rai Radio 3, Wikiradio. Le voci della storia, 29 ottobre 2024.
³ F. Agostinelli, intervista concessa a Blognotes nel numero monografico dedicato a G. Zigaina, 2024.
⁴ G. Zigaina, Pasolini. Un’idea di stile: uno stilo!, (Venezia: Marsilio Editori, 1999), p. 62.
⁵ G. Zigaina, Pasolini. Un’idea di stile: uno stilo!, (Venezia: Marsilio Editori, 1999), p. 123, in P. P. Pasolini, Descrizioni di descrizioni, (Torino: Einaudi Editore, 1979).
⁶ P. P. Pasolini, Lettera a Luciano Serra, 21 agosto 1945, in P. P. Pasolini, Lettere 1940-954. Saggistica, epistolari e varie, (Torino: Einaudi Editore, 1986).
⁷ D. M. Turoldo, Chiediamo scusa di esistere, nel volume Pasolini in Friuli, (Fagagna (Ud): Arti Grafiche Friulane, 1976).
Il funerale di P. P. Pasolini a Casarsa della Delizia si tenne il 6 novembre 1975.
⁸ P. P. Pasolini, Empirismo eretico, osservazioni sul piano-sequenza, (Milano: Garzanti Editori, 1972),p.253.
⁹ M. Eliade, Mito e realtà, (Santarcangelo di Romagna (Rn): Rusconi Editore, 1972).
¹⁰ P. P. Pasolini, Empirismo eretico, osservazioni sul piano-sequenza, (Milano: Garzanti Editori, 1972), p.253.
¹¹ P .P. Pasolini, Un manifesto per la cultura d’opposizione. Libertà dell’autore e liberazione degli spettatori, L’Unità 15 gennaio 1984.
¹² P. P. Pasolini, Cos’è questo golpe? Io so. Corriere della Sera 14 novembre 1974.
¹³ Zigaina, incisioni, edizioni e libri d’artista a cura di Francesca Agostinelli e Ilaria Savino.
¹⁴ M. Eliade, Arte del metallo e alchimia, (Torino: Bollati Boringhieri, 2018).
1⁵ G. Zigaina, Pasolini. Un’idea di stile: uno stilo, (Venezia: Marsilio Editori, 1999).
1⁶ Da: “Verso la laguna”, (Venezia: Marsilio Editori, 1995), in Zigaina, Incisioni, edizioni e libri d’artista, (Roma: Dario Cimorelli Editore, 2024).
1⁷ G. Zigaina, I braccianti della Bassa, 1951, penna e pastello su carta, Istituto Centrale per la Grafica, Roma. L’immagine è visibile online al link: https://insideart.eu/2024/10/08/le-incisioni-di-giuseppe-zigaina-in-mostra-allistituto-centrale-per-la-grafica/
¹⁸ G. Zigaina, “Per un’autobiografia”, in M. Goldin, Zigaina opere 1942-2009, catalogo mostra di Villa Manin di Passariano, (Treviso: Linea d’ombra Libri, 21 marzo -30 agosto 2009), p. 219.
1⁹ Ivi.
²⁰ F. Agostinelli, “Memoria incisa”, in Zigaina, incisioni, edizioni e libri d’artista, catalogo della mostra, Ediz. italiana e inglese, a cura di Francesca Agostinelli e Ilaria Savino (Dario Cimorelli Editore, dal 3 ottobre al 17 novembre, Istituto centrale per la Grafica, Palazzo della Calcografia di Roma, 2024), pp. 24-25.
²¹ Ivi.
²2 G. Zigaina, “Per un’autobiografia” (cit. nota 18).
²3 M. Goldin, “La processione di Barbana”, in Zigaina opere 1942-2009 (cit. nota 18), p. 294.
²⁴ M. Goldin, “Una storia di pittura”, in Zigaina opere 1942-2009 (cit. nota 18), p. 21.
²⁵ M. Goldin, “Conversazione com Zigaina” in Zigaina opere 1942-2009 (cit. nota 18), p. 18.
²⁶ R. Berger, Zigaina ou la traversée des emblèmes, (Basilea: Balance Rief, SA, 1985), p. 7-9. E Zigaina, Antologica della grafica e dei libri d’artista, (Belluno: Edizioni Proposte d’Arte Colophon, 1996), p. 24.
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